Il tronco secco germoglierà
Riflessioni sulla vita e la morte a -45 gradi sotto lo zero nel Canada occidentale
Durante il mese di gennaio, specialmente la settimana passata, la morsa del freddo si è stretta su Yellowknife e gran parte del Canada occidentale. Le temperature qui sono scese intorno ai -45, senza contare l’effetto wind chill che fa percepire fino a 15/20 gradi in meno. Questo, che potrebbe sembrare un dato irrilevante per chi ha una casa dove vivere, diventa questione capitale per le tante persone di strada che vivono qui.
Così vorrei condividere l’esperienza che ho dovuto affrontare qualche giorno fa. Venerdì alle 13 dovevo aprire la chiesa per un funerale per cui, come sempre faccio, sono uscito dal retro della casa dove vivo. Di lì, in pochi metri, si accede alla parrocchiale. La mattina ero andato fuori per alcune commissioni ed alcune persone erano entrate e uscite dalla canonica, ma dall’entrata principale sul davanti.
Appena ho aperto la porta di servizio mi sono trovato davanti ai piedi un cappello di pelliccia con dentro, mi è parso, dei santini ed accanto un paio di guanti. Perplesso sul senso di quegli oggetti ho alzato lo sguardo e tre metri più avanti ho visto un paio di gambe che sbucavano dall’angolo del garage. Mi sono avvicinato e c’era un corpo disteso sul fianco. La prima cosa che ho guardato sono state le mani, grigio blu di colore, poi il volto contratto dal gelo. Immediatamente ho avuto la percezione che quella persona fosse priva di vita. Quasi mi sembrava di stare davanti ad un tronco di legno seccato dal gelo.
Senza toccare nulla, tantomeno il cadavere, ho chiamato il 911. Gli RCMP (la polizia di qui) sono intervenuti subito, facendo tutto quanto previsto dai loro protocolli. Alla sera, sul sito di una radio locale, una notizia riportava il rinvenimento dicendo che la persona deceduta non era stata identificata. Il fatto è drammatico, ai miei occhi, perché rivela la solitudine terribile che al mondo, appena fuori dalla porta, molti, come quella povera persona, sperimentano. Ed allo stesso tempo questo evento si pone come giudizio sulle nostre vite personali e su quella delle nostre comunità cristiane, spesso così prese da bisticci, fazioni e atteggiamenti da primadonna da non permettere di ascoltare il grido silenzioso di tanti fuori dai nostri “giri”.
Non so chi fosse quel povero Cristo, dal volto deformato dal freddo non ho capito neppure se fosse uomo o donna. Non so se abbia bussato alla mia porta o meno, io non ho sentito niente. Forse era intontito dall’alcol per cui non si è nemmeno accorto che stava morendo. Eppure, immagino, solo pochi momenti prima di chiudere gli occhi a questo mondo ha manifestato in qualche modo la sua fede mettendo le sue povere cose davanti alla porta del prete.
Come chiesa siamo svergognati, ed allo stesso tempo ricondotti alla consapevolezza che spesso quello che facciamo è più per noi stessi che per il Regno di Dio ed i suoi figli. Tuttavia, penso, possiamo credere che quel gesto, l’ultimo di quell’homeless, assomigliasse tanto a quello della povera vedova che nel tempio Gesù ammirò per la sua fede. E così, spinti da una tragedia che si trasforma in segno profetico, siamo chiamati a trovare, nell’umiltà sincera, vie di conversione seria e condivisione autentica. Il Signore, che – come vuole la leggenda – fece germogliare il bastone rinsecchito del vecchio Giuseppe, faccia fiorire la vita di quella persona senza nome nel suo giardino, e doni a noi di saper coltivare con più attenzione e delicatezza le vite di coloro che vi passano accanto, specie se invisibili.