Utero per i trans?
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon.
In Italia esistono molti genitori trans (con questo termine voglio indicare coloro che hanno una identità di genere non corrispondente al genere o al sesso riconosciuto alla nascita e che hanno desiderio di transitare in un altro sesso) che, nella maggior parte dei casi, se hanno figli, li hanno avuti prima della transizione oppure hanno adottato i figli del partner. L’infertilità, infatti, è un effetto collaterale, temporaneo o definitivo, delle terapie ormonali di cui si avvale chi vuole cambiare il proprio sesso. Con l’assunzione degli ormoni maschili, una donna ha l’interruzione dell’ovulazione e con l’assunzione degli ormoni femminili, un uomo smette di produrre spermatozoi. Nel nostro Paese le persone trans hanno molti limiti nell’utilizzo dei propri gameti, magari conservati prima della transizione.
La legge italiana che regola la procreazione medicalmente assistita è tra le più restrittive in Europa prevedendo che le uniche coppie a poter accedere alle tecniche siano quelle eterosessuali, sposate o conviventi che, per qualche motivo, sono impossibilitate ad avere figli naturalmente. In questo modo si eliminano le coppie in cui uno o entrambi i soggetti sono transgender. Negli ultimi anni, nella comunità trans, si parla di una nuova possibilità in campo riproduttivo, ovvero, il trapianto di utero nelle donne trans: all’uomo che diventa donna viene trapiantato un utero, con la speranza che possa accogliere un embrione prodotto attraverso le tecniche di procreazione artificiale. Da alcuni anni ci sono ospedali in cui i trapianti di utero in donne con patologie particolari vengono praticati con successo.
Giuliano Testa è il chirurgo italiano che nel 2016 ha effettuato il primo trapianto di utero negli Stati Uniti in donne che non presentavano l’utero causa una patologia, quindi, in molti della comunità trans, si sono dati da fare per sapere se questo fosse possibile anche in donne trans. La ricerca medica continua. Ovviamente, la riflessione bioetica sarebbe molto articolata; ciò che mi sorprende nell’immediato è la forzatura estrema nel piegare la medicina, che di per sé si occupa della prevenzione e della cura, a risolvere problemi non di natura patologica o preventiva ma relativi al puro desiderio dell’uomo. Certamente questo concetto potrebbe ricadere anche sulla chirurgia estetica o su qualunque altra azione medica che travalichi i propri obiettivi originari. Questa è solo una suggestione di tante che andrebbero discusse e rielaborate.