La casa di Annie
Ottobre Missionario: riflessioni da Yellowknife, nei Territori del Nordovest del Canada
di Don Luca Baraldi
Passando per le strade del centro della cittadina di Yellowknife colpisce la presenza massiccia di senzatetto e persone in condizione di estrema precarietà. Non lo si aspetterebbe in una piccola capitale territoriale di appena ventimila abitanti; eppure la realtà dei senza fissa dimora qui è massicciamente presente. Si tratta per lo più di persone native, provenienti dalle diverse comunità remote, sparse nei Territori del Nord-ovest e del Nunavut: Dané, Inuvialuit, Inuit, che giunti a Yellowknife in cerca di fortuna, di lavoro o di prospettive esistenziali non hanno trovato molto, se non una situazione di degrado, spesso accompagnata da abuso di alcool e sostanze stupefacenti.
Un’amica che svolge la professione di infermiera e che lavora presso il principale rifugio che accoglie temporaneamente queste mi raccontava di come sia difficile strutturare aiuti realmente efficaci e duraturi per molte di loro. La comunità cattolica di Yellowknife attraverso la Società di San Vincenzo de Paoli cerca di dare qualche aiuto. Ancor più la Salvation Army è molto attiva su questo piano.
Alcuni giorni fa ho ricevuto l’invito a visitare uno dei centri di accoglienza. È gestito da una signora, Annie, che a sua volta proviene da un’esperienza decennale di vita di strada, senza lavoro e dignità, la quale, una volta uscita da quella situazione, ha deciso di prendersi cura di altri che correvano il rischio di perdersi in quel genere di esistenza. L’incontro con queste persone semplici, talvolta segnate nel corpo – oltre che nella mente e nello spirito da anni di vita ai margini, in condizioni più che precarie, in un contesto che anche da un punto di vista climatico complica ogni cosa e rende tutto estremo, mi ha messo in contatto diretto con quell’esperienza di santità della porta accanto incarnata da Annie, che ha nella cura la manifestazione di una bellezza trascendente e che salva.
Il fatto poi che queste persone abbiano desiderato e richiesto la presenza di un prete per pregare insieme, per ricevere una benedizione, per esprimere in un certo senso la loro speranza in Dio nonostante e forse attraverso tutto ciò che hanno passato e stanno attraversando, è stato per me un segno dell’azione dello Spirito ben oltre i confini delle strutture ecclesiastiche. Recentemente, in occasione del ritiro in preparazione al Sinodo sulla sinodalità in corso a Roma, il domenicano Timothy Radcliffe, ha affermato: “Ogni creatura vivente ha bisogno di una casa se vuole fiorire. I pesci hanno bisogno dell’acqua e gli uccelli hanno bisogno di nidi. Senza una casa non possiamo vivere. […] A casa siamo affermati come pure siamo e invitati ad essere migliori. La casa è dove siamo conosciuti, amati e al sicuro ma anche sfidati a intraprendere l’avventura della fede.
Dobbiamo rinnovare la Chiesa come nostra casa comune se vogliamo parlare a un mondo che soffre di una crisi di senzatetto. Stiamo consumando la nostra piccola casa planetaria. Ci sono più di 350 milioni di migranti in movimento, in fuga da guerre e violenze. Migliaia di persone muoiono durante la traversata dei mari per cercare di trovare una casa. Nessuno di noi può sentirsi completamente a casa a meno che chiunque non lo sia. Anche nei paesi ricchi milioni dormono per strada. I giovani spesso non possono permettersi una casa.
Ovunque c’è una terribile ‘homelessness’ spirituale. Individualismo acuto, rottura della famiglia, disuguaglianze sempre più profonde, uno tsunami di solitudine. I suicidi stanno aumentando perché senza una casa, fisica e spirituale, non si può vivere. Amare è fare casa con qualcuno”. La ricorrenza del mese missionario, la celebrazione del Sinodo della chiesa universale, la realtà che ci circonda e ci convoca, lo Spirito di Gesù risorto che ci invia ci sostenga nel divenire sempre più radicalmente costruttori ed abitanti responsabili della casa comune e di case accoglienti per tutti.