Trovare vie di pace
Voci dai territori del conflitto: card. Pizzaballa “emergenza molto grave, appello alla comunità internazionale”. P. Romanelli (parroco Gaza): “parrocchiani e famiglie musulmane hanno scelto di restare, non vogliono andare verso il nulla”.
Servizi a cura di Riccardo Benotti e Daniele Rocchi (Sir)
Papa Francesco all’Angelus
“Continuo a seguire con tanto dolore quanto accade in Israele e in Palestina”. Lo ha detto il Papa, che al termine dell’Angelus di domenica 15 ottobre ha rinnovato l’appello per la liberazione degli ostaggi e chiesto “con forza che i bambini, i malati, gli anziani, le donne e tutti i civili non siano vittime del conflitto”. “Si rispetti il diritto umanitario, soprattutto a Gaza, dov’è urgente e necessario garantire corridoi umanitari e soccorrere tutta la popolazione”, l’appello di Francesco: “Fratelli e sorelle, già sono morti moltissimi. Per favore, non si versi altro sangue innocente, né in Terra Santa, né in Ucraina o in qualsiasi altro luogo! Basta! Le guerre sono sempre una sconfitta, sempre! La preghiera è la forza mite e santa da opporre alla forza diabolica dell’odio, del terrorismo e della guerra”. Poi l’invito ad unirsi nella giornata di preghiera e digiuno del 17 ottobre.
Mons. Baturi (Cei)
“Sono vittime civili cercate casa per casa con la volontà di fare del male. Quanto avvenuto è inaccettabile, non può essere in alcun modo scusato con qualche ‘se’ o qualche ‘ma’. Certo, bisogna comprendere il contesto ma ciò non può essere una giustificazione. Come hanno ricordato il Santo Padre e il cardinale Parolin: bisogna lavorare con convinzione a una pace ‘costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità’”. Così mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla in un’intervista al Sir dell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre. Sul rischio dell’allagamento del conflitto con il coinvolgimento di altri Paesi arabi, mons. Baturi aggiunge: “La preoccupazione è grandissima perché vediamo all’opera le forze degli Stati. Piuttosto che mobilitarsi in funzione di una pace giusta, sembrano muoversi secondo logiche di schieramento e di potere. La memoria storica ci ricorda che i grandissimi drammi mondiali sono iniziati per lo spostamento di equilibri di cui all’inizio non si comprendeva la portata. L’apprensione è forte, tanto più che il tema della proporzionalità della reazione salta nella consapevolezza che siamo nell’era nucleare. Anche i discorsi circa l’uso della forza proporzionata devono tenere conto delle capacità distruttive delle armi moderne. Non può non preoccuparci constatare che la violenza ha bisogno di menzogna e dell’occultamento della verità”.
Card. Pizzaballa (Patriarcato Gerusalemme)
“È terrorismo islamico? C’è qualcosa nel mondo islamico – sottolinea il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000 – che nutre un pensiero di questo genere. Lo abbiamo visto in Siria e Iraq. Pensavamo di non vederlo qui ma invece è accaduto. C’è certamente una dimensione di odio profondo da parte di Hamas nei confronti di Israele e tutto ciò che è ebraico. Ma questo non è giustificabile. Il dolore dei palestinesi non può giustificare una cosa del genere”. “La via d’uscita – conclude il card. Pizzaballa a Tv2000 – è fermare le armi e cercare di trovare, nel tempo, una via di soluzione per questi 5 milioni di persone che non possono vivere sospesi senza prospettive per il loro futuro come popolo e come Nazione”. Pochi giorni prima, all’indomani dell’incursione dei terroristi di Hamas in territorio israeliano, Pizzaballa aveva dichiarato al SIR: “Siamo in una emergenza molto grave e temo che si arriverà alla guerra. Siamo davanti ad una situazione molto grave scoppiata improvvisamente, senza troppi preavvisi. È una campagna militare da ambo i lati, molto preoccupante per le forme, per le dinamiche e per l’ampiezza. Si tratta di novità molto tristi”. “La presa di ostaggi israeliani, fenomeno in nessun modo giustificabile – sottolinea il porporato – non farà altro che favorire una maggiore aggressività da ambo i lati, soprattutto da parte israeliana”. Il patriarca rivolge poi lo sguardo alla piccola comunità cristiana gazawa, poco più di 1000 fedeli dei quali solo un centinaio cattolici, appartenenti all’unica parrocchia latina della Striscia, dedicata alla Sacra Famiglia, incoraggiando “i cristiani della Striscia, impauriti”: “Sappiano che, come sempre, non saranno lasciati soli e che questo è un momento in cui dobbiamo essere uniti più mai”. Un ultimo appello lo rivolge alla comunità internazionale: “La comunità internazionale deve ritornare a prestare attenzione a quanto accade in Medio Oriente. Gli accordi diplomatici, quelli economici – conclude Pizzaballa – non cancellano un dato di fatto: esiste una questione israelopalestinese che ha bisogno di essere risolta e che attende una soluzione”.
Cristiani a Gaza
“In parrocchia, la comunità si è ritrovata per partecipare alla Messa e per chieph dere il dono della pace e la salvezza. Anche questa notte è trascorsa nel frastuono dei raid, i fedeli stanno bene ma la situazione è drammatica. L’ultimatum, che era stato prorogato di qualche ora da Israele, è scaduto. I parrocchiani con le loro famiglie hanno deciso di restare all’interno dell’area parrocchiale. Nelle nostre strutture stiamo dando rifugio anche a tante famiglie di nostri vicini musulmani che da noi trovano conforto e un po’ di sollievo”. Padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia latina di Gaza, dedicata alla Sacra Famiglia, bloccato a Betlemme a causa dell’attacco terroristico di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso, è in continuo contatto con i suoi parrocchiani e con il suo più stretto collaboratore, padre Yusuf Asad. “Ci sentiamo ogni momento possibile – dice al Sir – e così siamo tutti vicini in qualche modo”. Le testimonianze che arrivano dalla parrocchia, spiega padre Romanelli, ci dicono di “tanta gente che dorme anche a terra perché non abbiamo materassi e coperte a sufficienza. Quello che potevamo avere o abbiamo scaricato. Sono tutti consapevoli del pericolo che stanno correndo ma hanno scelto di restare dentro la parrocchia piuttosto che dirigersi verso il nulla. Inoltre non abbiamo i mezzi e le possibilità per trasferire tutti quei bambini e adulti disabili che devono essere accuditi continuamente. Qui almeno riusciamo a dare ancora un po’ di acqua e di cibo che ogni giorno mancano sempre di più”. “Se dovessimo andare verso il Sud – conclude il parroco – non avremmo più nulla da dare loro. Ci affidiamo alla preghiera di tanti milioni di persone che vogliono la pace e chiediamo a Dio che illumini la mente di chi può mettere fine a questa guerra”.