La famiglia, il giornale, il lager. Focherini è l’uomo della croce
Articolo di Francesco Ognibene sul quotidiano Avvenire
di Francesco Ognibene
«Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di non averne salvati in numero maggiore». Così scrive nella primavera 1944 dal penitenziario bolognese di San Giovanni in Monte Odoardo Focherini a Bruno Marchesi, fratello dell’adorata moglie Maria. Sette figli, la responsabilità amministrativa dell’Avvenire d’Italia, il combattivo quotidiano cattolico bolognese “padre” di Avvenire (insieme all’Italia di Milano) del quale era anche apprezzata firma, Focherini aveva tutti i buoni motivi per non mettersi nei guai con i nazi-fascisti.
E invece, con il suo amico don Dante Sala, aveva iniziato quasi per caso a dare una mano per espatriare con documenti falsi agli ebrei che gli si rivolgevano come a un’estrema speranza. Ne aveva messi al sicuro un centinaio, mentre mandava in edicola insieme al direttore Raimondo Manzini un quotidiano fedele e forte che quasi ogni giorno finiva per traverso al regime, furioso per tanta libertà. Lo tenevano d’occhio, e lo sapeva. Ma nessuna prudenza poteva trattenerlo dal prodigarsi per chi non aveva altra chance che lui. L’arresto, l’11 marzo 1944 nella sua Carpi, fu l’inizio di una discesa all’inferno nelle celle degli oppositori politici, dopo Bologna il campo di Fossoli, poi Bolzano, infine il lager di Flossenburg, con il sottocampo di Hersbruck dove trovò la morte la vigilia di Natale.