Ricordati, Signore, della tua misericordia
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 1° ottobre 2023.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Commento
Il vangelo di questa domenica è un testo esclusivo dell’evangelista Matteo che ci presenta una piccola parabola seguita da un’affermazione di Gesù che attualizza il racconto. I destinatari sono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dunque siamo in un contesto polemico, che troviamo spesso nel vangelo. Il racconto mette in campo un uomo con due figli. L’inizio “un uomo aveva due figli” ci ricorda la parabola del figliol prodigo e fa pensare che fosse tipico dello stile di Gesù usare contrapposizioni di questo tipo per mostrare che ci sono sempre diversi modi per affrontare una situazione. La trama è molto semplice: il padre manda i due figli a lavorare nella vigna, i due figli danno risposte opposte e poi si comportano diversamente da come hanno risposto.
L’interrogativo finale “chi dei due ha compiuto la volontà del padre” è quasi una domanda retorica: naturalmente quello che ha agito in conformità all’ordine e non quello che ha solo risposto affermativamente. Gesù si sta rivolgendo ai capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo; nel vangelo sono le categorie che, forse in modo anche stereotipato, rappresentano coloro che si accontentano di affermare una fede e una religiosità in modo rigoroso ma poi non ne traggono le dovute conseguenze. Per Gesù invece l’importante è cambiare la propria vita, mettersi in cammino, tradurre in pratica la fede ovvero, in modo sintetico, “fare la volontà del Padre”.
Non può non colpire e interessare anche noi questa prospettiva di Gesù. Anche oggi siamo tentati di vivere la nostra fede in modo identitario, accontentandoci di fare alcuni riti, mantenere alcune tradizioni, essere disposti a fare alcune affermazioni teologiche. Questo contribuisce a definire ciò che siamo, appunto fa parte della nostra identità. Ma per Gesù non è sufficiente. La fede deve diventare conversione. Si noti che il fare la volontà del Padre per Gesù non è un fatto eminentemente pratico, cioè non si tratta prima di tutto di compiere delle azioni; Gesù non è malato di attivismo. L’attività di cui parla Gesù è prima di tutto un mettersi in movimento interiore, riconoscere la necessità di un cambiamento del cuore che poi naturalmente si traduce anche in comportamenti pratici.
Lo capiamo bene dai versetti che seguono in cui Gesù facendo riferimento a pubblicani e prostitute fa esempi di persone che hanno ascoltato il messaggio della buona novella, prima di Giovani Battista e poi di Gesù, e si sono convertiti. I pubblici peccatori sembrano avere una maggiore predisposizione a cambiare vita e convertirsi; certo per loro è più difficile mentire a se stessi e ritenersi persone a posto. Più facile è invece che chi compie una vita sostanzialmente buona non veda le parti di sé che ancora hanno bisogno di conversione. Uno sguardo lucido sulla propria vita può servire ad accorgersi in cosa siamo dispersi, a vedere che cosa ci tiene imprigionati e dunque a cercare una via d’uscita, una salvezza.
Santa Teresa D’Avila nella sua opera principale Il castello interiore descrive la vita spirituale come un addentrarsi sempre di più in un castello al centro del quale sta il Signore. Fuori dal castello ci sono animali di vario tipo che contaminano l’anima e la rendono debole. “[le anime] Abituate a un continuo contatto con i rettili e gli animali che stanno intorno al castello, si son fatte quasi come quelli, e non sanno più vincersi, nonostante la nobiltà della loro natura e la possibilità che hanno di trattare nientemeno che con Dio”. Finché non ci accorgiamo di essere fuori dal castello immersi in tante influenze nefaste non inizia per noi un vero percorso di conversione. In un certo senso dobbiamo fare tesoro delle nostre difficoltà, della nostra scontentezza e abbandonare l’illusoria convinzione che noi non sbagliamo mai, per sentire davvero il desiderio di entrare nel castello, cioè di iniziare un cammino di conversione.
L’opera d’arte
Maestro dei mesi, Settembre (1230 circa), Ferrara, Museo della Cattedrale. Settembre mese di vendemmia, dunque di intenso lavoro nella vigna, a cui sono chiamati a prestarsi i due figli protagonisti della parabola di questa domenica. Un’attività “scolpita” nell’allegoria all’interno del ciclo dei mesi, raffigurati attraverso i lavori della terra, che ornavano la Porta dei Pellegrini sul fianco meridionale della Cattedrale di Ferrara. Di questo mirabile ciclo è a noi sconosciuto l’autore, detto appunto “Maestro dei mesi”, formatosi in seno alla scuola di Benedetto Antelami, per poi elaborare uno stile personale, in particolare nella grande attenzione realistica alla resa dei dettagli.
Come vediamo nel mese di settembre, impersonato da un contadino intento nella vendemmia: indossa una cuffia per proteggere i capelli dalla caduta dell’uva non matura, la veste è annodata attorno alla coscia in previsione della pigiatura. Di risalto plastico sono il cesto di vimini e la mano destra, dove sono visibili le vene. L’atmosfera, per così dire, solenne è indice, da parte della cultura del tempo, di una grande valorizzazione attribuita al lavoro dei campi, visto non come maledizione divina, ma in chiave salvifica.
V.P.