Lorenzo, l’uomo che salvò Primo Levi
Lo storico Carlo Greppi presenta in ex Sinagoga domani alle 18,30 il suo libro "Un uomo di poche parole"
“Un uomo di poche parole”: domani 15 giugno alle 18.30 in ex Sinagoga a Carpi, lo storico Carlo Greppi racconterà la “Storia di Lorenzo, l’uomo che salvò Primo” (Levi), come recita il sottotitolo del suo libro. In dialogo con la Direttrice della Fondazione Fossoli, Marzia Luppi, Greppi, scrittore e curatore editoriale italiano, traccerà la figura di colui che viene citato in “Se questo è un uomo”, dove Primo Levi ha scritto: “Credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi”. Ma chi era Lorenzo Perrone? Questo il primo interrogativo da cui è partito Greppi nella stesura del suo libro.
Come è nato il rapporto tra Lorenzo e Primo Levi?
“Un incontro fortuito: due uomini, con quindici anni di differenza (Lorenzo era più grande) che si ritrovano nello stesso luogo per ragioni diverse. Lorenzo come volontario, ‘libero’; Primo Levi come ‘schiavo’. Lorenzo era un muratore piemontese che viveva fuori dal reticolato di Auschwitz III-Monowitz. Un uomo povero, burrascoso e quasi analfabeta che tutti i giorni, per sei mesi, portò al giovane Levi una gavetta di zuppa che lo aiutò a compensare la malnutrizione del Lager”.
Perché Lorenzo ha scelto di farlo?
“Ha visto una persona in difficoltà, condannata a morire, e senza farsi troppe domande lo ha aiutato. Era nato nel cotesto del Polese, abituato a migrare, uno ‘scarto’ della società civile: vedendo la sofferenza del giovane Levi, istintivamente lo ha aiutato con una dedizione totale, rischiando la propria vita, senza preoccuparsi di avere un ‘piano B’. Solo dopo Levi scoprirà che nell’ultimo loro incontro Lorenzo aveva un timpano rotto a causa di un bombardamento e che aveva aiutato anche altre persone delle quali però non si conoscono i nomi”.
Ne è nata una forte amicizia…
“Lorenzo Perrone non si limitò ad assistere Levi nei suoi bisogni più concreti: andò ben oltre, rischiando la vita anche per permettergli di comunicare con la famiglia. Si occupò del suo giovane amico come solo un padre avrebbe potuto fare. La loro fu un’amicizia straordinaria che, nata all’inferno, sopravvisse alla guerra e proseguì in Italia fino alla morte struggente di Lorenzo, nel 1952, piegato dall’alcol e dalla tubercolosi. Primo non lo dimenticò mai: parlò spesso di lui e chiamò i suoi figli Lisa Lorenza e Renzo, in onore dell’amico”.
Cosa ci può insegnare questa storia rispetto alla Shoah?
“Che chiunque, al di là della provenienza geografica e sociale, dell’istruzione, può potenzialmente essere un Giusto: statisticamente infatti queste figure provenivano da classi popolari. Quella di Lorenzo è una storia limpida: una persona marginale, un padre violento, che si è rivelato di una bontà infinita, capace di fare del bene agli altri e al quale dovremmo ispirarci”.
Perché ha scelto di raccontare di Lorenzo?
“Sono sempre stato affascinato dalle persone cacaci di scelte giuste in tempi violenti. Erano tanti anni che la storia di Lorenzo ‘mi chiamava’ ed è stata anche una bella sfida come ricercatore, perché le tracce erano poche ma in realtà sono riuscito a capire chi era Lorenzo e in questi anni ha acquisito una sua dimensione ai miei occhi, perché gli storici, attraverso le fonti, possono come ‘viaggiare’ nel tempo”.