Per chi suona… il tamburo
Masi cho! Una rubrica di don Luca Baraldi
Il tamburo nella tradizione delle popolazioni native dell’area sub artica, dove svolgo la mia missione, ha un grande valore materiale e simbolico. Esso rappresenta, infatti il cerchio della vita. Quella delle donne e degli uomini, ma anche di tutto il cosmo. La sua musica si dice sia capace di innescare processi di guarigione del corpo e dello spirito. Addirittura qualcuno afferma che anche le anime dei morti siano felici quando ne percepiscono le vibrazioni. Attorno a questo strumento ed al suo suono si raccolgono giovani e vecchi per danzare insieme nei momenti di festa e per fare il lutto durante le ore tristi della vita.
Una leggenda tramandata da generazioni di anziani racconta che ci fu un tempo, in un remoto passato, nel quale le donne e gli uomini non riuscivano né potevano pregare. In quel tempo nel quale il Cielo sembrava così lontano ed inaccessibile, un uomo viveva solo nelle foreste boreali, cacciando caribou e pescando nel grande fiume. Un giorno, mentre si trovava nella sua tenda, sentì un suono che mai aveva udito prima. Uscì incuriosito e si trovò davanti agli occhi un angelo che teneva con una mano un oggetto rotondo e che con l’altra lo batteva. Incantato dalla musica che ne era prodotta si avvicinò chiedendo all’angelo se potesse avere quell’oggetto capace di tanta melodia. L’essere celeste gli rispose che se gli avesse dato quel manufatto, una volta che egli se ne fosse andato, il tamburo sarebbe scomparso. Gli propose, così, di insegnargli a farne uno, che avrebbe potuto tenere per sé. Così con pazienza, passo passo, il servo di Dio insegnò all’uomo a costruire il suo tamburo. Quando ebbero terminato il lungo e meticoloso lavoro la creatura misteriosa scomparve.
Il solitario abitante della steppa cominciò da quel giorno a camminare per tutta la regione suonando il suo nuovo strumento. Tutti gli animali che lo sentivano ne restavano come ammaliati. Un giorno si imbatté in un accampamento di cacciatori: anche loro al suono prodotto da quel tamburo rimasero estasiati, cominciarono a danzare, a sentire pace, felicità. La musica stava cambiando qualcosa in loro. Così chiesero di poter avere anche loro un tamburo. L’uomo solitario subito propose di insegnar loro come costruirlo, e così settimana dopo settimana, mese dopo mese anno dopo anno la melodia prodotta dal battere di un piccolo osso sulla pelle tesa attorno ad un cerchio di legno si diffuse ovunque, portando gioia, guarigione, armonia.
Il diffondersi del suono del tamburo e dei suoi effetti benefici è una bella immagine che descrive anche ciò che accadde alle prime generazioni di cristiani che accolsero l’annuncio ed il dono del Vangelo della Pasqua di Gesù come la via inedita e strepitosa attraverso la quale era divenuto possibile giungere sino in cielo, entrare in quella comunione con Dio che cambia ogni cosa. Il tempo liturgico dei cinquanta giorni, che terminerà fra pochi giorni con la Pentecoste, offrendoci la possibilità di lasciarci affascinare dalla bellezza del messaggio della Pasqua, ci dà anche l’opportunità di condividere con altri la gioia che da esso proviene. Ma come?
L’immagine del tamburo, può esserci di aiuto a rispondere. In particolare una delle caratteristiche che lo riguarda è il processo di costruzione. Infatti sebbene le mani esperte di un uomo che ha ereditato l’arte di fare tamburi lavorano rapide e possono impiegarci appena tre giorni per realizzarne uno – come mi ha spiegato Edward, che li fabbrica -; tuttavia a ben vedere ogni strumento racchiude ben di più. Esso contiene, infatti, storie che lo superano e trascendono: le materie impiegate nella sua costruzione raccontano vite di animali e piante; di cacciatori e tagliatori di alberi; di sapienze e narrazioni di abilità trasmesse alla luce amica di un fuoco vesperale. E così la musica prodotta da quello strumento non è altro che l’attualizzarsi di passati che non si sono esauriti al tramonto del loro presente ma che, trasformati in qualcosa di nuovo, diventano bellezza e gioia. Ogni colpo, battuto sulla pelle tesa, così, fa riecheggiare, rendendolo armonico, ogni elemento di storie che sembravano non aver più nulla da dire.
Così diventare annunciatori della Risurrezione, missionari della Pasqua nelle situazioni ordinarie della vita, significa saper riconoscere il valore di ogni esperienza umana con la quale si entra in contatto e farla risuonare nella sua verità più profonda, ossia essere parte di quel processo di trasformazione ad opera dello Spirito che porterà alla pienezza della presenza di Dio Tutto in tutti. Sì, perché la Risurrezione è il frutto nuovo di un amore eterno. Sintesi trasfigurata di una storia che, come celebrato nella veglia di Pasqua, ha il suo inizio prima della creazione e attraverso i patriarchi e i profeti, diviene promessa compiuta nella notte in cui la morte è stata vinta. E di più ancora! La Risurrezione di Cristo è mistero consegnato nello Spirito a noi affinché, come tamburi tradizionali, sappiamo trarre da essa la miglior armonia e la più grande gioia nelle nostre ed altrui vite.