San Rocco, cinque secoli di storia
Cinquecento anni dalla posa della prima pietra della chiesa di Santa Maria delle Grazie.
di Andrea Beltrami
Era il 2 maggio 1523 quando Andrea Federzoni, architetto e fidato consulente del principe Alberto III Pio nella realizzazione dei suoi progetti carpigiani, si impegna a costruire la chiesa di Santa Maria delle Grazie, come permuta a seguito dell’abbattimento della chiesa dei Serviti ubicata nel borgo di sant’Anna, appena fuori dalla cinta muraria. Per esigenze difensive, infatti, si rendeva necessario liberare la visuale oltre le mura di cinta al fine di consentire alle artiglierie la possibilità di spaziare sui terrapieni. Si decise, pertanto, di concedere ai Padri Serviti uno spazio all’interno delle mura, nella zona chiamata Terranova, sempre nella parte nord orientale di Carpi.
Una scelta non casuale, se pensiamo che ad ogni angolo della cinta muraria sorgeva un edificio sacro (San Nicolò, San Francesco, Sant’Agostino) che contribuiva alla crescita urbana della città e allo sviluppo delle attività, compreso l’aspetto edilizio. Nella zona di Terranova non vi erano ancora particolari agglomerati e sviluppi commerciali; il collocamento di un luogo di culto avrebbe certamente favorito l’incentivarsi delle attività e l’incremento delle abitazioni, di fatto, però, non del tutto realizzatosi se non a distanza di quasi quattro secoli.
Le trattative per la nuova chiesa erano iniziate già dal 1519 ma si deve attendere il maggio 1523 per l’inizio dei lavori e la sistemazione definitiva del cantiere per la realizzazione dell’opera. Certamente, essendo direttamente coinvolto il Federzoni, possiamo pensare ad un interessamento specifico del principe Alberto nella realizzazione di un progetto che rispondeva alle esigenze del tempo e all’idea di aggiornamento dell’urbanistica carpigiana.
Il 20 maggio 1523 viene benedetta la prima pietra dall’arciprete ordinario, iniziano i lavori che avranno un iter complesso e con diverse interruzioni che porteranno ad una dedicazione della chiesa, meglio di quanto costruito fino a quel momento, solo nel 1537. Nel frattempo i padri Serviti continuavano ad officiare nella vicina chiesa di Sant’Antonio abate (ora non più esistente e situata sull’odierno Corso Cabassi) con sede abitativa presso l’ospitale dei viandanti situato nei pressi della porta orientale di accesso alla città. Non si conosce come fosse la chiesa, certamente ad aula unica e con soffitto a cassettoni. Una lettura, seppure complessa e articolata, dell’attuale facciata restituisce qualche elemento cinquecentesco identificabile nella tripartizione dovuta dalle semplici paraste, che rimandano alla semplicità architettonica del Federzoni assimilata dalle linee peruzziane. Anche il portale e la grande finestra riconducono, seppure con i dovuti rifacimenti settecenteschi, a strutture riconducibili alla primitiva chiesa.
Come accennato sopra, i lavori procedettero a rilento per fermarsi a seguito della partenza da Carpi del principe Alberto III; nonostante la dedicazione la chiesa rimase un cantiere e i Serviti dovettero interpellare il duca Ercole II d’Este affinché concedesse un appezzamento di terreno nei pressi delle mura della città. Un passo per sbloccare la situazione. Nasce la Confraternita della Madonna del Rosario, con sede nella chiesa dei Serviti, inizia la diffusione della pratica del Rosario con iniziative e forme di preghiera molto sentite dai carpigiani, con la naturale conseguenza di maggiori entrate e l’incremento di offerte e legati di messe. Tutto ciò permise ai Serviti di contribuire sostanzialmente a incentivare i lavori e permettere il completamento della struttura già agli inizi del XVII secolo, cui si aggiunge anche la progettazione e l’inizio dell’attiguo convento sviluppatosi sul fianco occidentale della chiesa.
Del complesso delle “Grazie” prima del rifacimento settecentesco rimane traccia nella conosciuta pianta della città di Luca Nasi del 1677 dove vediamo la chiesa ultimata e il convento parzialmente costruito. Una testimonianza preziosa e unica che ci permette di capire il complesso secentesco e di confrontarlo con l’attuale dovuto ai lavori successivi.