Intervista a Fabrizio Gatti
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale.
L’ospite di questo nuovo “pezzo” di CulturalMente è Fabrizio Gatti, direttore editoriale per gli approfondimenti del quotidiano Today.it e autore del nuovissimo libro “Nato sul confine” edito da Rizzoli. Il tema del volume è di stretta attualità: il fenomeno migratorio.
Lei, prima di iniziare il racconto, nel libro cita Virgilio che nel libro I dell’Eneide parla proprio di migrazioni. Com’è cambiata, se è cambiata, la percezione del fenomeno migratorio dai tempi di Enea rispetto ai giorni nostri?
La lezione che la storia dei popoli ci offre non cambia: le società aperte si adattano meglio alle mutazioni e prosperano, le società chiuse e autoreferenziali alla lunga si dissolvono. Noi italiani, ad esempio, se non invertiamo il tasso di denatalità che ci affligge, siamo destinati a invecchiare. E, alla lunga, a scomparire.
Non è il primo libro che scrive sui fenomeni migratori, penso a “Bilal”, ad esempio. Come mai ha deciso di tornare su questo tema?
Stavo scrivendo un altro libro. Volevo prendere dai miei appunti di viaggio e dalle storie che ogni giorno raccontiamo dalla redazione di Today.it, gli aspetti paradossali e ironici. Avrei voluto raccontare con qualche sorriso la fatica quotidiana dei nostri quartieri e dei nostri paesi di provincia, le peripezie della convivenza tra popoli che non hanno mai vissuto insieme prima. E tra questi popoli, ovviamente, avrei messo al centro noi italiani. Poi Vladimir Putin ha ammassato il suo esercito ai confini per invadere l’Ucraina. Era gennaio 2022. Ho capito che dovevo tornare tra la gente che scappa perché aggredita, dentro quei luoghi indefiniti che sono appunto i confini, lungo il tempo sospeso che occorre per attraversarli.
Ci sono delle cose che accomunano “Bilal” a “Nato sul confine”?
La voce di “Bilal” è la mia. Sono io che racconto quello che ho visto, sentito, toccato con la mia pelle durante quattro anni di viaggio da infiltrato attraverso i confini dall’Africa all’Europa. La voce di “Nato sul confine” è Mabruk, un bambino non ancora nato, in viaggio con decine di bambini. Ci racconta lo strappo dalla propria casa, dalla propria vita. Ci fa entrare nei nascondigli dei trafficanti e ci fa salire a bordo di un peschereccio stracarico di persone. E anche di bambini. Mabruk è nato davvero durante un viaggio. La sua storia l’ho incontrata durante una delle mie inchieste, la più difficile. Ma non ero mai riuscito a dargli voce. L’ho fatto ora.
Come si potrebbe risolvere il problema dell’immigrazione? Lei di recente ha affermato che non si dovrebbe affrontare questa tematica esclusivamente con l’ideologia…
Come abbiamo risolto il problema della pioggia? Oppure del freddo? Oppure del fuoco? Intanto non li chiamerei problemi, ma fenomeni naturali e magari opportunità. L’ideologia ci fa credere che pioggia, freddo, fuoco non servano, siano uno scherzo degli eventi che vanno arginati. Oppure, sul fronte opposto, che dobbiamo abbandonarci nudi a pioggia, freddo e fuoco perché non abbiamo alternative. La razionalità umana ci insegna a convivere con i fenomeni naturali, a trarne il bene comune, ma anche a proteggerci di fronte agli eccessi. Il viaggio di “Bilal” è cominciato nel 2003. Vent’anni dopo ho deciso di scrivere “Nato sul confine” proprio perché, da allora, non è cambiato nulla. Le contrapposte ideologie ci hanno accecati, ci hanno offerto soluzioni semplici che in realtà non hanno risolto nulla. Ma c’è sempre tempo per cominciare a essere umanamente razionali.
Cosa rappresenta Mabruk, il piccolo bimbo non ancora nato protagonista del libro? Perché dare la voce non a un neonato, ma a qualcuno che vive nel grembo materno?
Perché, dopo aver parlato agli adulti dalla voce di “Bilal”, con “Nato sul confine” ho voluto rivolgermi ai ragazzi delle scuole medie e superiori, prima di tutto, ai loro genitori e a chiunque voglia salire a bordo di un barcone in mezzo a tanti bambini. Anche solo per capire cosa può accadere se non vengono rispettati i ruoli che ciascuno di noi ha nella società. Parlando dal ventre della sua mamma, la voce di Mabruk non è stata ancora contaminata dalla realtà e dalle paure, di cui lui percepisce soltanto i suoni e il sapore. Il viaggio di Mabruk si ispira a una storia vera, che è anche una storia d’amore e di infinita fiducia nella vita.