Un poetico incontro tra generazioni
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale.
Luigi Garlando non è solo una perla del giornalismo sportivo italiano, ma anche un autore che ha fatto e fa tutt’ora impazzire i lettori più giovani. Celebre è la sua serie di libri “Gol!” (Piemme), che io da più piccino leggevo avidamente tanto da avere oggi uno scaffale della libreria interamente dedicato a questi volumi. Non si può però parlare di Garlando senza citare il suo Per questo mi chiamo Giovanni (Rizzoli, 2019), dedicato alla vita del magistrato Giovanni Falcone. Oggi, nello spazio di CulturalMente, racconta del suo ultimo libro, Siamo come scintille (Rizzoli, 2022). Un libro che è un incontro tra due generazioni differenti e una lode alla poesia e alla cultura vista in varie sfaccettature.
Garlando, Siamo come scintille è un libro che parte dall’incontro tra due generazioni. Una influencer e un ghostwriter. È un libro che può abbracciare anche più generazioni di lettori?
Sì, come lo sono i miei libri “per ragazzi”. Sono libri che in realtà fanno riflettere anche gli adulti. Questo forse anche un po’ di più perché ha questi due protagonisti che rappresentano generazioni diverse e lontane e mondi lontani. Lei è una influencer, ma poco attrezzata culturalmente, una liceale di sedici anni che è stata anche bocciata a scuola, che però ha questo grande successo: ha milioni di follower perché evidentemente le sue poesie riescono a interpretare i sentimenti delle persone. Dall’altra parte c’è questo scrittore che ha avuto un grande successo da ragazzo, ma poi si è perso e proviene da un mondo contrario, colto e intellettuale, ma che ha perso la connessione coi suoi lettori. Questi due mondi si avvicinano, si respingono all’inizio, ma poi forse si capiscono.
In questo libro troviamo una prosa mista alla poesia. Da dove nasce l’idea di far fondere in un unico libro prosa e poesia?
Lo spunto è stato il fenomeno della poesia sui social, quello della instapoetry. È un fenomeno molto diffuso di cui ho letto un po’. Mi è quindi venuta in mente l’idea di discutere della forza della poesia con i ragazzi, i miei lettori. Io credo che è un momento questo in cui la poesia è stata riscoperta per vari motivi, uno tra questi è il covid che ci ha costretti a stare da soli, ma anche per lo stesso fenomeno dei social che costringono alla sintesi, pensiamo ai 140 caratteri di Twitter e la poesia è lampo per costituzione. Ho voluto riflettere su tutte queste cose.
I social possono valorizzare la cultura?
Io credo che social e cultura si completino e ci sia il rischio di demonizzare i social, questi nuovi strumenti di comunicazione, e di vedere i ragazzi come “piccole isole”, ognuno con la testa sul proprio telefonino. In realtà come dimostra la protagonista del mio romanzo, Scià, i ragazzi sanno far rete, sanno comunicare, sanno anche “passarsi” emozioni, versi e poesia e magari partono da emozioni proprie e poi, per amore della poesia, scoprono la “poesia vera” e quindi sono spinti verso la “cultura vera”. In questo romanzo Scià grazie alla presenza dello scrittore Greg che all’inizio detesta impara tanto. Vanno anche a vedere insieme la casa di Leopardi a Recanati, imparano Alda Merini. I social non vanno demonizzati, possono aiutare.
Lei è un giornalista sportivo, ma al contempo anche uno scrittore di libri per ragazzi. Al netto di Gol! e dei vari libri che parlano di calcio, qual è la connessione tra il lavoro che fa sulla Gazzetta dello Sport e quello che fa per la stesura di libri del tipo di Siamo come scintille?
C’è una connessione ed è l’educazione. Io credo che i ragazzi non abbiano a disposizione una palestra migliore dello sport per essere educati prima di tutto alla legalità. Un ragazzo che si allena settimanalmente nel rispetto di un regolamento, di un campo e dell’avversario cresce rispettoso. Anche fuori dal mondo dello sport sarà un cittadino rispettoso. Nei miei libri per ragazzi si parla di questi valori. Sia che tocchi Giovanni Falcone sia che tocchi Rita Levi Montalcini. La connessione dell’educazione è molto stretta.