Colui che guarda avanti ed indietro
Masi cho, una rubrica di Don Luca Baraldi
Tempo fa, in una delle comunità fra le quali mi muovo col mio ministero itinerante, mi sono imbattuto in un piccolo interessante libercolo dal titolo “the book of Dene”. Si tratta di una traduzione in inglese di un testo, originariamente in francese e dane, scritto dal missionario Emile Petitot a cavallo fra il 1800 ed il 1900, nel quale sono raccolti i racconti, le leggende ed i miti delle diverse popolazioni native dei Territori del Nordovest. Si tratta di un’opera di modestissime dimensioni, che tuttavia rivela la necessità di conoscere e apprezzare le tradizioni e le culture che si incontrano e con le quali si viene in contatto nel cammino personale ed ancor più in quello missionario della Chiesa.
In questa attitudine, mi pare, si trovi anche lo stile della quaresima che la liturgia suggerisce. È interessante, ad esempio, il fatto che l’antifona di ingresso con la quale si apre la messa delle ceneri reciti, citando il libro della Sapienza: “Tu ami tutte le creature, o Signore, e nulla disprezzi di ciò che hai creato”.
Partendo da questi elementi credo possa essere utile riflettere sulla connessione necessaria fra apprezzamento della realtà e con- versione. Nel libretto appena citato, in diverse leggende delle popolazioni Gahchodene (che sarebbero quelle che vivono nell’area fra il Great Bear Lake e i monti Mackenzie, dove sto svolgendo il mio piccolo servizio), appare una figura soprannaturale identificata con il nome di “Colui che vede davanti e dietro”. In questa definizione mi pare di trovare uno spunto interessante che permette di comprendere meglio anche l’idea di onniscienza del Dio biblico.
Spesso nella nostra tradizione teologica e nella prassi catechistica, influenzata dalla filosofia greca, abbiamo pensato a questo attributo in modo astratto e quasi magico. La sapienza nativa, paradossalmente più vicina a quella biblica, invita a pensare alla conoscenza divina nella prospettiva di uno sguardo capace di cogliere ogni dettaglio, di vedere la dimensione storica e dinamica della realtà e delle persone e, forse proprio per questo, capace di non disprezzare nulla.
Il disprezzo, infatti, nasce dal fatto che si cristallizzi un determinato momento storico, una fase, della vita di qualcuno o di qualcosa e la si assolutizzi, congelandola in una visione parziale e falsata. Il disprezzo è sempre il frutto di uno sguardo incapace di risalire alla storia delle situazioni e di aprirsi al futuro che da esse potrebbe creativamente scaturire. Disprezzare è la cifra dell’occhio sclerotizzato e del cuore desertificato. Purtroppo sono tante le pagine della storia dei discepoli di Cristo che parlano di disprezzo, di incapacità a guardare e cogliere dettagli esistenziali con umana compassione ed evangelica sapienza. Questo non solo in passato, ma forse anche oggi. E non appena nella vita di qualche singolo ma anche a livello strutturale.
Ecco la ragione per la quale il tempo quaresimale, oltre che tempo di penitenze, digiuni e preghiere a benefi cio della fede personale dei singoli, ha lo scopo di spingere l’intera comunità dei credenti a rinnovare il proprio sguardo e così la propria missione. Ancora di più: i quaranta giorni prima della Pasqua, alla luce del vangelo proclamato nel giorno che li inaugura con l’austero rito delle ceneri, offrono alla Chiesa l’opportunità di mettersi alla scuola di Gesù, il quale, rivelandoci che abbiamo un Padre celeste “che vede… e vede nel segreto”, con ciò ci invita ad una rinnovata fiducia ed a una più autentica capacità di riconoscere il valore delle cose, delle situazioni e delle persone.
Se dunque il tempo quaresimale è tempo in cui apprendere cosa significhi non disprezzare, potremmo dire che, oltre a quanto già detto, esso lo è anche facendoci entrare in un contatto più stretto e immediato con la morte, di fronte alla quale, specie nella nostra cultura occidentale e consumista, preferiamo chiudere gli occhi. Infatti che cosa sono i digiuni, i tempi di silenzio, i ritiri in solitudine, se non piccole prove di avvicinamento alla nostra fine biologica? Ma non certo per una sorta di macabro masochismo; piuttosto nell’ottica di una riconciliazione con un passaggio che, nella pasqua di Gesù, possiamo imparare ad approcciare con quello sguardo capace di guardare avanti ed indietro che il Figlio unigenito del Padre ci ha regalato.
Spero, così che anche noi, con Etty Hillesum, possiamo dire “Questo è ciò che ogni giorno mi insegna daccapo: che bisogna rimanere aperti, che non ci si deve chiudere in se stessi nei momenti più bui, né affondare in essi pensando che sia un giorno perso, triste. Nella mia vita mi rendo conto che ci sono centinaia di svolte in una giornata, centinaia di sorprese, una veduta improvvisa, un senso di inclusione…”. E con tale sguardo sapiente, impariamo a non disprezzare nulla e nessuno, convertendoci.