Partecipare è agire nella gioia
Trame di bellezza, una rubrica a cura della Pastorale Sociale e del Lavoro.
di Paolo Barani
Lo strapotere dei nuovi mezzi di comunicazione ha introdotto di recente una nuova possibilità per invitare amici e parenti al proprio matrimonio: l’invio di una mail, di un messaggino, poche righe su WhatsApp. In alcuni casi è stato utilizzato addirittura il passaparola. È forse venuto il momento di archiviare la cara e vecchia “partecipazione”? Certamente non per tutti! La riflessione ci porta però ad approfondire il significato della parola stessa, partecipazione. Essa trasmette il senso più profondo di ciò che si vuole ottenere con quel piccolo cartoncino arabescato: si chiede ad amici e parenti di essere parte di una celebrazione e di una festa che sanciscono la nascita di una nuova comunità famigliare. Questo senso può forse essere esteso anche al significato che “partecipazione” ha nell’insegnamento sociale della Chiesa: essere parte attiva e gioiosa di una comunità ecclesiale e sociale.
Il senso del partecipare sta infatti nella consapevolezza di un essere e di un agire per il bene comune, di uno stile improntato alla gioia, di un luogo: la comunità. Ciascuna donna e ciascun uomo devono maturare questa coscienza: la vita non è fatta per essere spesa e giocata per sé, ma rintraccia il suo significato più profondo nel mettersi a disposizione per l’altro, nella ricerca condivisa del bene comune. In questo spendersi ognuno di noi può condividere talenti, energie fisiche e spirituali, competenze e quant’altro ha avuto in dono o acquisito nel corso della sua formazione ed esperienza. E ciascuno potrà beneficiare di quanto il prossimo metterà a disposizione. Non è però importante “quanto” facciamo, la visibilità del fare. Ciò che è importante è la consapevolezza di essere parte. Le relazioni si arricchiscono così di quanto ciascuno potrà portare e ricevere, avendo il coraggio di proporsi e l’umiltà di avere dall’altro, sempre in un’ottica di dono. Da molti esperti di fatti sociali, sappiamo che oggi viviamo una forte “crisi di partecipazione”.
Basta guardare i dati dei votanti alle ultime elezioni, osservare i tanti banchi vuote nelle nostre chiese, e, forse, un numero minore di persone che donano tempo, energie e competenze in attività di volontariato. Si partecipa di meno alla vita ecclesiale attiva, ma anche la politica e il volontariato non festeggiano di certo. Forse occorre di nuovo educare ad una semplice constatazione: nessuno è così ricco da non aver bisogno di niente, nessuno è così povero da non poter donare nulla, fosse anche soltanto la sua imprescindibile presenza. Nessuno di noi è tutto o niente, ma ciascuno è bisognoso dell’altro ed è risposta per l’altro. Se, oltre alla partecipazione di nozze, dovessimo archiviare anche quella ecclesiale e sociale, il nostro tessuto vitale si impoverirebbe a tal punto da atrofizzarsi. Partecipiamo quindi con convinzione e con gioia, senza false timidezze o spavalderia! Alla prossima.