Esclusione di un parente dall’eredità: è possibile?
“Lo sportello di Notizie”: il notaio Daniele Boraldi risponde alle domande dei lettori su questioni inerenti il vivere quotidiano.
Egregio Notaio, è possibile nell’ordinamento italiano diseredare un proprio parente? Eventualmente, in quale modo? Lettera firmata
Caro Lettore, innanzitutto occorre, al fine di meglio inquadrare l’argomento di cui mi richiede di trattare, darne una precisa definizione. Comunemente, infatti, si è soliti utilizzare tale termine anche con riferimento a situazioni non prettamente coincidenti con la realtà propria della “diseredazione” intesa in senso colloquiale. Il legislatore non ha certamente facilitato la comprensione della materia in quanto, né nel Codice Civile del 1942, attualmente in vigore, né in quello precedente del 1865 (derivazione del Code Napoleon francese e fortemente influenzato dalla tutela ereditaria dei congiunti in esso riversata per volontà di Napoleone in persona) si è mai preoccupato di esplicitarne una precisa definizione. Solo recentemente, come si dirà in seguito, sono state apportate modifiche, introducendo anche specifici articoli in materia, volte ad una maggiore specificazione – nonché parziale revisione – delle possibilità escludenti in materia successoria.
Precisamente, trattando di diseredazione, ci si riferisce alle fattispecie attraverso cui il testatore, in modo espresso, priva uno o più successibili ex lege (ossia automaticamente chiamati dalla legge alla successione) dalla possibilità di succedergli. Si richiede pertanto, innanzitutto, da parte del soggetto che desidera escludere un determinato parente dalla propria successione, un’esplicita dichiarazione di tale volontà nelle forme testamentarie ritenute legittime dal nostro ordinamento. Con specifico riferimento ai soggetti che il testatore ha facoltà di diseredare espressamente, poi, occorre effettuare una dovuta distinzione fra coloro che sono chiamati alla successione legittima ed i chiamati per successione necessaria, ossia i c.d. legittimari.
Infatti, mentre nel diritto privato romano (dal quale il nostro, come quello francese e tedesco, direttamente deriva) era consentito al padre di famiglia diseredare, qualora avessero tenuto nei suoi confronti un comportamento non degno a succedergli, anche i propri eredi necessari, una simile possibilità non è prevista nel nostro Codice Civile il quale, al contrario, all’articolo 457 c.c., prevede che in alcun modo le disposizioni testamentarie possano pregiudicare i diritti che la legge riserva ai cc.dd. legittimari e che, all’articolo 549 c.c., vieta al testatore di porre pesi o condizioni sulla quota spettante ai medesimi, salvo particolari ipotesi. Il nostro ordinamento, al fine di realizzare un’opportuna tutela della famiglia, quale formazione sociale fondata sul matrimonio, i cui presupposti vengono riconosciuti anche a livello costituzionale, nonché presupponendo una naturale affectio familiaris fra i parenti prossimi, ha riservato ad alcuni membri della famiglia del de cuius una quota del patrimonio di quest’ultimo, che non potrà disporne diversamente.
Precisamente, come previsto all’articolo 536 del Codice Civile, viene riservata una determinata quota di eredità a favore del coniuge, dei figli e, nel caso di assenza di questi, agli ascendenti del defunto. Mentre, quindi, è possibile per il testatore disporre liberamente, per testamento, della c.d. quota disponibile, ossia della differenza fra la somma del suo patrimonio e le quote riservate ai soggetti legittimari, egli non potrà, invece, in alcun modo, quindi nemmeno attraverso disposizioni negative, determinare una diversa attribuzione della quota riservata ai soggetti legittimari. Occorre ora, infine, trattare dei parenti che possono essere chiamati per successione legittima in quanto, solamente in parte, coincidono con i membri della famiglia cui viene riservata dal legislatore una specifica quota del relictum ereditario. La successione legittima si apre se il testatore non ha disposto, in tutto od in parte, dei beni facenti parte del proprio patrimonio. In tal caso, infatti, la legge regola espressamente la successione, al fine di evitare che i beni del de cuius rimangano indefinitamente senza alcun proprietario, determinando i soggetti chiamati alla successione.
Con riferimento a questa più ampia categoria, ed, ovviamente, sempre escludendovi i c.d. legittimari, è ora pacificamente ammessa in dottrina ed in giurisprudenza, soprattutto dopo una nota sentenza di Cassazione emanata nel 2012, la possibilità per il testatore di escludere espressamente dalla propria successione una determinata persona. Ad una simile statuizione si è giunti solamente in seguito ad una lunga elaborazione dottrinale ed in seno ad un orientamento evolutivo dell’istituto, volto ad avvicinare la legislazione italiana a quanto diversamente previsto in molti altri Stati. Siffatto orientamento ha altresì determinato il recente inserimento nel Codice Civile, con la L. 10 dicembre 2012, n. 219, dell’articolo 448 bis. Tale introduzione assume un determinato rilievo in quanto contempla una particolare ipotesi in cui viene concesso al figlio di escludere dalla successione il proprio genitore, ossia un suo legittimario.
Per completezza, si ricorda, inoltre, che specifici casi di esclusione dalla successione, non per volontà del testatore ma per espressa previsione di legge, vengono disciplinati nel Codice Civile agli articoli 463 s.s. nel capo dedicato all’indegnità. In tali ipotesi il legislatore vuole evitare, a tutela di un superiore interesse pubblico, che coloro i quali agiscono in modo particolarmente riprovevole nei confronti del defunto o dei suoi parenti prossimi (ad esempio avendone determinato la morte od avendo attentato alla loro vita; avendone indotto od impedito con dolo o violenza la redazione, revoca, mutamento del testamento), possano a questi succedere, escludendoli espressamente dalla loro successione.