Ai piatti di poveri grilli fritti continuiamo a preferire la buona cucina italiana
In Punta di Spillo, una rubrica di Bruno Fasani.
Adesso è ufficiale. A partire dal primo gennaio 2023, sarà possibile portare sulle nostre tavole come nuovo cibo, da servire come pietanza, o usare come farina, parzialmente sgrassata, l’Acheta domesticus, a tutti noto come il simpatico grillo che troviamo nei prati e che riempie col suo canto inconfondibile i giorni caldi dell’estate. A deciderlo è stata l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che da tempo era stata chiamata a pronunciarsi in materia. E così, dopo le larve gialle della farina (Tenebrio molitor) e le famose locuste migratorie, ora gli europei potranno mettere sotto i denti il simpatico insetto. Anche se il 54% degli italiani ha detto che loro i grilli non li mangeranno neanche se dovessero morire di fame, a fronte di un 16% favorevole, c’è da giurare che, tra non molto, i ristoranti che si ispireranno alle nuove frontiere alimentari troveranno i loro proseliti, pronti a giurare che niente pareggia in bontà una scorpacciata di insetti.
Non sarò certo io a lanciare anatemi. Primo, perché ognuno ha i propri legittimi e insindacabili gusti. Mia madre, santa donna, davanti a un piatto di ostriche diceva che le venivano gli urti di vomito. E non vi dico che cosa le ricordassero, perché sarebbe un attentato ai cultori del pregiato mollusco. Personalmente non offritemi carne di cavallo, perché potrei andarmene al galoppo. In compenso ho visto amici di viaggio consumare ragni fritti e cavallette, mentre si sperticavano in lodi compiaciute. Sembravano pesciolini! era il loro commento. Sia come sia, le aziende che hanno dato inizio alla produzione di grilli ormai lavorano a pieno regime, anche in Italia, con tonnellate di innocenti insetti, pronti da cuocere fritti, oppure tostati al forno per essere trasformati in farina.
Da usare in tutti gli ambiti. Pane, cracker, grissini, barrette ai cereali, nei biscotti, nei prodotti secchi a base di pasta farcita e non farcita, nelle salse, nei piatti a base di leguminose e di verdure, nella pizza, nei prodotti a base di pasta, nel siero di latte in polvere, nei prodotti sostitutivi della carne, nelle minestre o anche nelle bevande tipo birra, nei prodotti a base di cioccolato, negli snack diversi dalle patatine e nei preparati a base di carne, destinati alla popolazione in generale.
I laudatores ci hanno rassicurato che si tratta di proteine dagli effetti miracolosi, ma si tratta di rassicurazioni di parte. In attesa dei “miracoli”, negli Usa qualche primo scricchiolio sui possibili effetti negativi si è già sentito e la stessa Commissione europea che segue la sicurezza alimentare s’è presa del tempo, per fare ulteriori accertamenti. Vada come vada, la domanda si fa stringente: che bisogno c’era di aprire all’uso alimentare degli insetti? Per combattere la fame nel mondo è stata la risposta, buttata lì con peloso buonismo. Ma, a dire il vero, qui da noi in Europa, più che dei grilli avremmo bisogno di far ricorso a qualche dieta, per contenere gli eccessi alimentari. E non è neppure pensabile che, in un sussulto di sano contenimento delle spese, si sia pensato a questi poveri insetti, nell’illusione di risparmiare. Oggi, un chilo di farina di grilli costa intorno ai 70 Euro, che proprio non lascia pensare ad un prodotto per pensionati che, di Euro, ne hanno meno di 500 al mese. E allora?
Allora penso che, ancora una volta, siano le multinazionali a condurre le danze dell’economia e della politica, in un gioco che vede quest’ultima sempre più succube e incapace di sapere cosa vuole. Sono i soldi che comandano, sospira rassegnato l’uomo della strada, mentre ci si potrebbe chiedere se un rilancio della produzione di grano, tenero o duro che sia, non sarebbe un modo intelligente per rilanciare l’agricoltura, tutelando, ad un tempo, una cucina, invidiata nel mondo, che proprio di grilli non ha bisogno.