Rimanere sordi o essere curati?
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon.
L’impianto cocleare è un dispositivo elettrico impiantato chirurgicamente che raccoglie le onde sonore dell’ambiente, le trasforma in stimoli elettrici e le trasmette direttamente al nervo acustico. Questo impianto è consigliato in caso di deficit uditivo di natura neurosensoriale con un danno esteso o totale. Ci chiediamo: la sordità è una disabilità per cui occorre intervenire o una condizione esistenziale da accettare?
Per un genitore udente la nascita di un figlio non udente è un evento di difficile elaborazione e accettazione. Il genitore che sente non sa e non conosce l’ambiente dei sordi e la loro cultura e, possiamo dire, il loro orgoglio di appartenenza. Per il genitore udente la sordità è una malattia che deve essere curata. Gli attivisti della “cultura sorda”, al contrario, esprimono il loro orgoglio nell’appartenere ad una cultura che ha un modo di vivere, di relazionarsi e di comunicare e quindi, sostengono che non ci siano motivi per modificare con un intervento chirurgico pesante e demolitivo l’orecchio del bambino nato sordo.
Dal punto di vista etico questa presa di posizione è estremamente interessante ma anche pericolosa in quanto, di fatto, circa il 90% dei bambini non udenti nasce da genitori udenti che non conoscono l’ambiente dei sordi, di conseguenza, il loro desiderio è che il figlio possa guarire o quantomeno migliorare la sua condizione. Per gli attivisti non udenti l’impianto cocleare è un abuso e una violenza verso i bambini sordi, che li separa dal loro mondo vero e dal loro ambiente culturale.
Questo concetto venne ribadito dall’associazione americana nazionale dei sordi, tuttavia dopo alcuni anni cambiarono decisamente l’impostazione riconoscendo nell’impianto cocleare uno strumento da potersi usare in alcune forme di comunicazione ma non come cura della sordità. Dichiarava inoltre, la legittima libertà dei genitori di decidere assieme ai loro bambini per un impianto cocleare che cercasse di rimuovere almeno in parte il problema oppure la libera e serena accettazione della sordità.
Tutto questo fa nascere grosse perplessità ma anche l’idea che sia superficiale l’affrontare la patologia sempre e comunque con un trattamento che cerchi di superarla o cancellarla. La malattia stessa fa parte di una persona che è inserita in una cultura e questo deve essere tenuto in considerazione nel momento in cui ci si approccia alla persona, soprattutto quando è appena nata e, in riferimento all’approccio terapeutico del problema, ciò può cambiare drasticamente l’evoluzione del corso della sua esistenza.