Emilia-Romagna e RU 486
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon.
La Regione Emilia-Romagna ha deciso che l’RU 486 possa essere somministrata anche nei consultori iniziando da quelli di Parma per poi continuare con Modena, Carpi, Bologna e la Romagna. Si amplia dunque la possibilità per le donne, di ricorrere, per l’interruzione volontaria di gravidanza, al trattamento farmacologico non più solo nei presidi ospedalieri. Le motivazioni vertono sempre sul diritto della donna di avere tutto ciò che occorre per poter abortire a spese chiaramente del Sistema Sanitario Nazionale come “questione di civiltà”, così ha dichiarato il presidente della Regione.
La RU486 è un antiprogestinico di sintesi in associazione con una prostaglandina che induce l’interruzione della gravidanza. Occorre ricordare che il prodotto può causare gravi effetti collaterali fino anche alla morte della donna per emorragia (nel 2014 27 i casi accertati di morte dopo l’assunzione dell’RU486). È importante ricordare che un prodotto similare (“pillola dei 5 giorni dopo”), che ha come contenuto il principio attivo della RU 486, è da anni in vendita come prodotto da banco in ogni farmacia. Filippo Maria Boscia, presidente dell’Associazione medici cattolici (Amci), in tempi recenti, aveva ripetutamente preteso “una riflessione approfondita su questa materia che consideriamo di eccezionale importanza per la tutela della vita sin dal suo naturale esordio”.
Ovviamente tutto questo passa sempre sotto silenzio favorendo le motivazioni dei diritti degli adulti. In riferimento alla scelta “di civiltà” che, non solo in questo caso ma anche in altri, si erge sempre come slogan utile al consenso e al plauso sociale, rammento a me stesso il significato del termine, che indica l’insieme delle qualità e delle caratteristiche materiali, culturali e spirituali di una comunità, non solo, sottende l’aspetto etico e dei diritti umani di un Paese. Davanti a questo mi fermo perché la contraddizione è talmente evidente che sarebbe stupido provare a spiegare ciò che è notoriamente palese.
Solamente mi salta all’occhio un aspetto più marginale rispetto all’azione di uccisione di un innocente, ma altrettanto importante, che è quello relativo alla salute della madre. Tutto lo sforzo si concentra sui “diritti” di una donna con un figlio in grembo che può decidere qualsiasi cosa in riferimento alla salute e alla vita del concepito e che invece, tutta questa attenzione alla donna, venga poi meno quando si devono considerare i rischi, addirittura, per la sua vita. Se qualcuno lottasse per i miei diritti, mi farebbe piacere, ma se questo va a scapito anche della mia vita e nessuno me lo dice, allora dubiterei delle buone intenzioni del mio difensore.
“La nota di don Gabriele Semprebon interviene opportunamente su un tema che ha avuto un’ampia diffusione sui media locali. Abbiamo assistito ad interventi di alcuni sanitari che, oltre a sostenere con granitica certezza la sicurezza dell’interruzione di gravidanza con il metodo farmacologico, hanno debordato dagli aspetti puramente medici armandosi dell’ideologia abortista con due obiettivi da colpire: l’obiezione di coscienza del personale sanitario (non solo i medici ginecologi possono avvalersi di questo diritto) e le associazioni pro-vita colpevoli di accompagnare le donne che scelgono di portare a termine la gravidanza. Fino a sostenere che “la vita dell’embrione comincia quando la donna lo accetta”. C’era una volta la biologia della riproduzione…”
L.L.