Pazienza, una virtù preziosa
In te ipsum redi, la rubrica di Tommaso Cavazzuti
Siamo soliti considerare la pazienza una virtù dei deboli, di chi rinuncia a far valere i propri diritti. In realtà, è la virtù dei forti. Romano Guardini, uno dei maggiori pensatori del secolo scorso, filosofo e teologo molto stimato, nel suo libro Virtù (Ed. Morcelliana), scrive che il modello più alto di pazienza lo troviamo in Dio, nei confronti dell’universo da Lui creato. La pazienza di Dio è l’altra faccia della sua incrollabile fedeltà. Da parte mia, voglio far notare che quanto più si cresce negli anni tanto più indispensabile diventa la pazienza. E, come ogni virtù, non la si può improvvisare, ma la si deve coltivare negli anni, per trovarci preparati al momento in cui più ne abbiamo bisogno.
Non mi ritengo nè maestro, nè modello di pazienza, e per questo lascio la parola allo stesso Guardini. “Noi dobbiamo avere pazienza con le persone con le quali siamo legati. Siano queste i genitori o il coniuge o il figlio, sia l’amico o il compagno di lavoro o chiunque altro; l’esistenza responsabile e matura comincia con il prendere l’uomo come è. Può divenire assai pesante l’essere legati a una persona che a poco a poco si impara a memoria., di cui già si sa come parla, come pensa, come si comporta verso qualsiasi cosa. La si vorrebbe perdere e prenderne un’altra” (pag. 50).
Ma c’è di più. La pazienza è necessaria non solo nel rapporto con gli altri, ma anche in rapporto a se stessi. “Dobbiamo avere pazienza anche con noi stessi. Noi sappiamo – in qualche modo: nella forma di un desiderio più o meno chiaro – come vorremmo essere. Volentieri vorremmo perdere questa qualità e avere quella, e urtiamo ad essere pur sempre quello che appunto siamo. E’ duro dover rimanere quelli che si è; è umiliante dover avvertire sempre gli stessi difetti, lacune, meschinità. La nausea di se stessi quanto ha assalito spesso i grandi spiriti!
Qui si deve un’altra volta innestare la pazienza: accettare e sopportare se stessi. Non far buono in noi ciò che non è buono, non fare la pace con noi stessi. Lo scontento verso le proprie caratteristiche deficienti o inadeguate deve restare sempre desto, altrimenti andrebbe perduta quella autocritica che è la condizione di ogni morale miglioramento. Ma non nel modo di una fantastica fuga da se stessi, bensì in quello di una sana critica che inizia dai dati della realtà per mutarvi quello che si può. E sapendo bene che si andrà a rilento, molto a rilento. Ma precisamente questa lentezza rappresenta la garanzia che il mutamento non si verifica nella fantasia, ma nella realtà” (pag. 51).
La maturità dell’uomo, dice Guardini, comincia quando egli accetta ciò che è. E questo esige forza e coraggio. La pazienza è veramente la virtù dei forti. La pazienza esige anche intelligenza. Pazienza è saggezza. Comprensione e accettazione delle cose nel modo in cui si vanno realizzando, rinunciando alla pretesa che tutto accada come si vorrebbe.
Anche nell’educazione, in tutti gli ambiti, ci vuole pazienza. Scrive ancora il Guardini: “L’educatore che non ha pazienza con quelli che gli sono affidati li spaventerà e li renderà insinceri. In qualsiasi modo ci sia affidata la vita, il nostro lavoro per la sua crescita avrà succcesso soltanto se lo si fa con questa forza tranquilla e profonda. Esso somiglia al modo con cui la vita cresce da sé”. Il contadino sa che a lui spetta creare le condizioni perché la pianta possa crescere, ma poi aspetta che sia lei a svilupparsi con il ritmo che le è proprio.
La pazienza esige forza, molta forza. Come osserva ancora Guardini, “La pazienza più eccelsa si fonda sull’onnipotenza divina. Proprio perché Dio è l’onnipotente, può avere pazienza con il mondo”. Solo l’uomo forte può esercitare una pazienza davvero viva. Solo l’uomo forte e paziente può ricominciare sempre di nuovo, nello sforzo di portare a termine il bene che si è proposto.