Il diritto del morente
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon.
Alla fine degli anni ‘90 la Fondazione Floriani, attraverso la carta dei diritti del morente, enuncia un concetto fondamentale, quello cioè che l’uomo è persona sino alla morte. Questo ha un peso notevole nella nostra cultura anche se è cosa dimenticata da molti in quanto parlare di diritti di malati terminali parrebbe anacronistico. Tutto nasce dal fatto che, fino a cinquant’anni fa o ancor prima, la persona morente veniva accudita tra le mura domestiche, accompagnata dalle persone più prossime ed era impensabile un “abbandono”.
Citare la cura di un paziente terminale come diritto era inconcepibile, allo stesso modo che, per esempio, includere la cura di un neonato in una norma giuridica: cosa assurda in quanto è scontato e doveroso che un neonato debba essere accudito. Stessa cosa valeva per il morente.
La morte e il periodo immediatamente precedente ad essa sono entrati nell’aura del diritto in quanto la malattia terminale, da una parte, è accompagnata da una pletora di presidi medici decisamente invasivi e poco attenti alle volontà dell’ammalato, dall’altra, la fobia dei parenti che spinge all’abbandono del soggetto in contesti non famigliari e decisamente poco accoglienti. Riconoscere che un morente ha dei diritti oggi deve essere fatto, è necessario, non solo per indicare le modalità di accudimento doveroso da parte di parenti rispetto alla persona in questione ma anche per rivendicare dei limiti alla sproporzionalità della medicina che si impone come presenza invadente nella vita altrui.
Alla luce della legge 219 del 2017 il paziente nella fase terminale deve essere riconosciuto come soggetto di diritti: ha il diritto di rifiutare le cure, il diritto di fruire della terapia del dolore e della sedazione palliativa, il diritto a non subire azioni sproporzionate, il diritto di avvalersi delle cure palliative e di tutte quelle risorse che vengono messe a disposizione per accompagnare la persona il meglio possibile e il più dignitosamente possibile.
È vero che ogni persona muore sola ma non per questo deve essere lasciata sola e nemmeno alla mercè del pensiero altrui. È abbastanza assurda la concezione che in una società si debba parlare di diritto al morente, ciò che spetta alla persona che muore dovrebbe essere talmente ovvio che non ci sarebbe bisogno di altro. Sentiamoci vincolati moralmente nell’accompagnare le persone nel loro ultimo atto di vita, con molto rispetto, stando loro vicino.