Linguaggio e potere
In te ipsum redi, una rubrica di Tommaso Cavazzuti
La lingua, certamente, è il principale strumento che l’uomo usa per esprimere il proprio pensiero. Ma proprio perché ne è lo strumento di espressione, la lingua inevitabilmente è anche un elemento che può condizionare il pensiero in modo più o meno profondo, al punto di riuscire a nascondere quello che dovrebbe rivelare. Parlando del linguaggio noi usiamo anche il termine “canale” di espressione. Ora, come in un canale, la corrente del pensiero è costretta a subire i limiti e le forme imposte dagli argini, che in certi momenti possono essere gli unici ad apparire: quando le parole (vuote) sono eco soltanto di se stesse.
Questa natura del linguaggio umano, quando è messa in rapporto con il potere all’interno della società, solleva un problema molto interessante: quello dell’uso ideologico del linguaggio. È ciò che succede quando il pensiero e la parola che lo esprime non sono finalizzati a creare comunione tra le persone, ma a ottenere e a esercitare, attraverso la persuasione e il consenso, un potere sugli altri in difesa di interessi propri, legittimi o presunti.
L’uso ideologico del linguaggio ci riporta al concetto di ideologia. Semplificando al massimo, possiamo dire che l’ideologia è il lavoro che l’uomo o una classe, inseriti in una società, compiono per ottenere il consenso e, attraverso il consenso, conquistare o mantenere il potere. L’ideologia è inevitabile in ogni società nella quale esistano interessi contrapposti e nasce proprio dalla visione della realtà imposta dai propri interessi di parte.
In una cultura dell’immagine, e quindi anche della parola, come la nostra, è inevitabile che nella produzione ideologica il linguaggio giochi un ruolo particolarmente importante e diventi uno “strumento molto efficace di condizionamento del pensiero”. È quello che osserviamo soprattutto in campo sociale, economico e politico. Le parole assumono significati nuovi; ma non perché siano più ricche, ma per il fatto che devono nascondere ciò che per loro natura dovrebbero significare, deviando l’attenzione di chi ascolta da realtà che si vuole escludere dalla propria considerazione. L’uso ideologico delle parole, infatti, sta molto di più in quello che nascondono che in quello che effettivamente esprimono.
Possiamo esemplificare con alcune parole molto usate nelle discussioni sui conflitti attuali. Incominciamo con il diritto alla difesa. Dopo l’11 settembre la difesa è diventata un diritto così sacro che nessuno potrebbe mettere in discussione senza correre il rischio di essere considerato un pazzo o un criminale. L’affermazione in sé può essere facilmente condivisa; però l’analisi ideologica del discorso mostra che questa affermazione ne nasconde altre molto più problematiche, ossia il diritto alla vendetta, il diritto alla rappresaglia, il diritto a usare qualunque strumento di ritorsione, compresa la guerra, ecc. Ora, queste altre affermazioni, protette e nascoste sotto il mantello sacro del diritto alla difesa, pur essendo per lo meno discutibili, diventano assolutamente certe.
Un altro esempio può essere il termine civiltà. Nei dibattiti attuali diventa sinonimo di Occidente. In virtù di questa identificazione, l’Occidente è messo al riparo da critiche serie che pure meriterebbe, mentre i popoli e le culture che si distinguono dall’Occidente per ciò stesso diventano vulnerabili e sospetti.
Nel campo dei rapporti sociali gode di particolare rispetto l’espressione pace sociale. Anche qui le parole acquistano un significato preciso solo quando sono inserite in un contesto ben chiaro e si conosce bene il soggetto che le usa. Non sfugge a nessuno che le stesse parole hanno un significato ben diverso sulle labbra di un imprenditore e su quelle di un sindacalista. Si potrebbero dire cose simili per quanto riguarda la competitività, la flessibilità nel mercato del lavoro, ecc.
Sono alcuni esempi che dimostrano che il significato di una parola o di un discorso non può essere definito facendo ricorso ai dizionari più completi e attualizzati, ma scavando nel contesto sociale, culturale e ideologico di chi li pronuncia. L’uso ideologico del linguaggio è una minaccia alla libertà dell’uomo nella sua espressione più profonda, la libertà di pensiero appunto. Contro questa minaccia l’individuo ha sempre la possibilità di difendersi, e l’arma più efficace a sua disposizione è proprio la conoscenza dei tranelli ai quali siamo esposti.