La storia e l’oggi: un cerchio perfetto
Alla presenza delle autorità, degli autori e curatori, si è aperta al campo di Fossoli la doppia mostra dedicata a Nomadelfia.
di Virginia Panzani
La vita e la speranza che irrompono là dove si era vissuta la peggiore delle esperienze umane. Il 19 maggio 1947 don Zeno e i suoi figli, al suono della banda, occupavano pacificamente il campo di Fossoli. Con commozione e con una ampia partecipazione di pubblico, si sono aperte ufficialmente nella serata di sabato 17 settembre, le due mostre dedicate a Nomadelfia nella baracca restaurata del campo di Fossoli. Sono intervenuti il presidente della Fondazione Fossoli, Pierluigi Castagnetti, il vescovo Erio Castellucci, il sindaco di Carpi, Alberto Bellelli, Giancarlo, presidente di Nomadelfia, il sociologo Sergio Manghi, e Giovanna Calvenzi, curatrice della mostra “Nomadelfia. Oasi di fraternità” del fotografo Enrico Genovesi, naturalmente presente anche lui all’inaugurazione.
Piena di entusiasmo la partecipazione di una ventina di giovani di Nomadelfia, insieme a Carlo, curatore della mostra nell’ambito della rassegna diffusa “I luoghi di don Zeno”, Elia e Zeno. Non ha voluto mancare, poi, una delegazione della Casa della Divina Provvidenza, guidata da sorella Anna, a del profondo legame spirituale e di intenti fra l’opera dei fratelli Saltini, don Zeno e Mamma Nina. Dunque: nella baracca del campo di Fossoli, all’esposizione di foto e filmati storici che “fanno memoria”, ripercorrendo le vicende del sacerdote e della sua comunità, si affianca la mostra fotografica di Enrico Genovesi a rendere, attraverso l’alto valore artistico del suo lavoro, l’oggi di Nomadelfia, la vitalità profetica della comunità dove “la fraternità è legge”.
Il sindaco Bellelli: dalla terra di Fossoli risorge la speranza Nel suo saluto il sindaco
Alberto Bellelli ha ricordato come nel 2017, in occasione della visita di Papa Francesco a Carpi prevista per il 2 aprile, ragionando con il presidente Castagnetti e con la Fondazione Fossoli, si sia deciso di offrire un omaggio particolare al Santo Padre. “Un mattone di risulta caduto nelle opere di accantieramento riempito con la terra del campo di Fossoli – ha raccontato -. Avvicinandomi al Papa con questo dono così insolito, gli ho spiegato che avevo scelto qualcosa che rappresentasse il campo di Fossoli, teatro di una tragedia immane, ma anche luogo di speranza, con quella terra calpestata da figure quali Odoardo Focherini e, poi don Zeno”.
Camminando in questi giorni sotto i portici del cuore del centro storico di Carpi, dov’è posizionata una serie di pannelli con fotografie e citazioni dagli scritti e discorsi di don Zeno, Bellelli si è detto onorato di poter attraversare la piazza accompagnato, in particolare, dal celeberrimo proclama in dialetto del sacerdote: “fê du mucc”, ovvero “fate due mucchi”. “Era una frase rivoluzionaria per quei tempi, ma che è tuttora una questione centrale – ha sottolineato -, vale a dire che il nostro mondo non può andare avanti continuando a creare disparità. Una frase tutt’altro che ideologica, ma basata su di una legge umana fondamentale, quella di chi si riconosce in una medesima condizione”. Riflessioni queste del sindaco di Carpi, che hanno evocato un’altra celebre frase di don Zeno: “O fratelli o niente. E, per essere fratelli, bisogna essere alla pari. Tra disuguali ci si aiuta, tra fratelli si condivide”.
Giancarlo di Nomadelfia: da Grosseto alla Tanzania, una spinta profetica vitale
Giancarlo di Nomadelfia ha tratteggiato la nascita della vocazione al sacerdozio di don Zeno e le motivazioni che lo portarono, con difficoltà e tremore, ma anche con la spinta travolgente che gli proveniva da una fede cristallina, “ad essere sacerdote di Cristo per creare una società più umana, più giusta, fraterna, dove ciascuna persona ha la possibilità di vivere dignitosamente. Egli era convinto fermamente che ponendo Cristo come riferimento della nostra vita nasce un uomo nuovo”. Una vita vissuta nell’amore alla Chiesa e al Vangelo e nell’obbedienza, ha sottolineato Giancarlo, “quando gli fu chiesto di allontanarsi dalla sua ‘creatura’. Questo grande sacrificio ha aperto però, in sintonia con la Chiesa, nuove strade, ottenendo la laicizzazione ‘pro gratia’ concessa dal Papa per ritornare come laico a Nomadelfia e il 22 gennaio 1962, dopo la soluzione di numerosi problemi anche amministrativi, Papa Giovanni XXIII gli concesse di riprendere il sacerdozio celebrando la sua ‘seconda prima messa’. Nomadelfia fu riconosciuta parrocchia e don Zeno nominato parroco”.
Ecco allora sorge una domanda spontanea: Nomadelfia continua ancora oggi? E’ presente? “Con umiltà e senza ostentare presunzioni di qualsiasi tipo, possiamo affermare che la sua spinta profetica è ancora vitale, come ha affermato Papa Francesco durante la sua visita a Nomadelfia il 10 maggio 2018. La vita continua in Maremma, da quando si è trasferita nel 1949, a Roma, dove dal 2004 abbiamo aperto un gruppo famigliare intitolato a Giovanni Paolo II e ora in Tanzania, nella regione poverissima di Rukwa, vicino al monastero di Mvimwa. Qui il desiderio di Nomadelfia è di costruire in fraternità, insieme alla gente del posto, occasioni di rinascita umana e sociale per il bene di tutti”.
Giovanna Calvenzi: la cura lungimirante di don Zeno per la fotografia
Due mostre complementari al campo Fossoli, ha sottolineato la photo editor Giovanna Calvenzi: una tratta dal patrimonio ricchissimo dell’archivio di Nomadelfia, l’altra frutto del reportage di quattro anni fatto di ripetuti incontri di Enrico Genovesi con la comunità. Un’opera, quest’ultima, che “è la prosecuzione necessaria di ciò che don Zeno aveva intuito, all’avanguardia per i suoi tempi, cioè la grande attenzione da dare all’utilizzo di mezzi quali il cinema e la fotografia. E’ così che Fossoli e Nomadelfia hanno ospitato dagli anni ’40 i migliori fotografi italiani”.
Una intuizione lungimirante, quella di don Zeno, che, ha sottolineato Giovanna Calvenzi, “ha permesso alla sua comunità di conservare memoria di sé attraverso la meravigliosa ricchezza del proprio archivio. Michele Smargiassi, illustre critico di fotografia e giornalista de La Repubblica, ha affermato che fotografare scene di guerra tutto sommato è facile. Al contrario fotografare la serenità, dare conto di cosa significhi vivere in armonia e nella fraternità è difficile. Ecco – ha concluso – posso dire che Enrico Genovesi ci è riuscito”.