Una terapia… con frutta e verdura
Una cura singolare è stata sperimentata nel cagliaritano. Alcune persone con disabilità intellettiva di grado lieve e medio hanno ricevuto un trattamento terapeutico particolare: hanno accudito sistematicamente due ettari di orto e giardino di una azienda agricola multifunzionale nelle campagne sarde all’interno di un progetto denominato “la cura dell’orto che cura”.
Questo tipo di trattamento si chiama ortoterapia ed è una disciplina già sperimentata da tempo negli USA e in Italia è approdata da poco senza ancora ottenere un riconoscimento ufficiale. Secondo gli studi disponibili, questa pratica può migliorare la salute cardiovascolare, stimolare la concentrazione e la memoria, ridurre la pressione sanguigna, potenziare il sistema immunitario, ridurre la glicemia e alleviare lo stress. Il laboratorio è stato promosso attraverso l’Anffas (Associazione di familiari di persone con disabilità intellettiva e relazionale).
Durante i lavori in campagna, i partecipanti sono stati seguiti da tre educatori e da quattro Oss e hanno collaborato con due operatori agricoli formati. “L’integrazione dei partecipanti col personale dell’azienda agricola ha dato loro la possibilità di sperimentarsi in un ruolo lavorativo adulto e le relazioni che si sono create hanno favorito l’instaurarsi di un clima sereno e armonioso, a prescindere dai compiti assegnati… L’ortoterapia rientrerebbe a pieno titolo tra quelle iniziative a cui riconoscere una valenza pubblica” ha dichiarato il direttore generale dell’assessorato alle Politiche sociali della Regione Sardegna, Giovanni Deiana, e ha così continuato “Mi impegno sin da subito a portare in Regione gli esempi positivi che sono stati portati, affinché sia più agevole il cammino verso il riconoscimento scientifico in Parlamento”.
Osserva, poi, l’imprenditrice agricola della azienda in cui è avvenuta l’esperienza: “L’esperienza è stata assolutamente positiva e l’auspicio è che possa ripetersi. Speriamo anche che l’ortoterapia possa essere riconosciuta come strumento integrativo nella riabilitazione, almeno al pari della pet terapia, in modo che possa essere promossa e sviluppata”.
Mi pare che questa sia stata un’esperienza veramente interessante, che abbia motivato i pazienti sotto diversi punti di vista e, per il futuro, possa anche trasmettere competenze spendibili sul mercato del lavoro. Auspichiamo che anche in Italia si possa implementare, al più presto, questo tipo di approccio.