La nostra personale stazione di servizio
Ascoltando il consiglio di un amico, qualche mese fa ho partecipato a un seminario sulla felicità. La relatrice si è dimostrata da subito una persona effervescente, con le idee chiare, molto efficace nell’esposizione dei contenuti. Ha cominciato comunicandoci che ognuno di noi, al proprio interno, possiede una personale “stazione di servizio della felicità”. Ma di una felicità non intesa come quella che viene da fuori, che dura un attimo o poco più, ma quella interiore che, appunto, come una stazione di servizio dobbiamo imparare a curare, alimentare e sostenere.
Essere felici è un allenamento incessante e un prendersi cura di noi stessi, senza attendere di essere perfetti, ma trovando giorno dopo giorno gli strumenti per essere felici qui e ora, nonostante i grattacapi e le sofferenze, nonostante la vita sia difficile e in alcuni casi anche estrema.
Uno degli ingredienti necessari per alimentare la nostra felicità è la gentilezza, non intesa come manierismo affettato, ma come riconoscimento di sé e dell’altro come valore, come dono. Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” sostiene che incontrare chi pratica la gentilezza è un miracolo, in quanto essa ha il potere di trasformare le relazioni sociali. Quando la gentilezza si fa cultura “trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti”.
Nel il secondo capitolo dell’enciclica, dedicato alla parabola del “buon samaritano”, il Papa ci esorta poi a riflettere anche sulla compassione, parente stretta della gentilezza. Il buon samaritano, passando davanti a quel ferito, è stato capace di mettere tutto da parte e, senza conoscerlo, lo ha considerato degno di ricevere il dono del suo tempo (F.T. n. 63) senza aspettarsi nulla in cambio.
Essere gentili e compassionevoli, sembra comunicarci la parabola, non è dunque affare di pochi, ma di tutti; e farsi prossimi è un’azione figlia di una scelta. L’albergatore, al quale il buon samaritano si rivolge dicendogli “abbi cura di lui”, è figura di noi stessi, della comunità intera nelle sue svariate forme, che deve collaborare unita per sostenere la compassione e farsi carico dei più deboli. La gentilezza e la compassione sono perciò strumenti che devono fare parte della nostra cassetta degli attrezzi di esseri umani e di cristiani. Le nostre personali stazioni di servizio della felicità potranno così essere di ristoro per noi e per i nostri fratelli e sorelle. In quattro minuti, questo video lo mostra meglio di mille parole.