Giro Donne a Carpi, nuova “tappa” di una lunga storia
Iniziative in città per accogliere la gara martedì 5 luglio, con la bici protagonista del presente e passato fra emancipazione, economia e Resistenza.
Largo a cicli, cicloturisti, ma anche al ciclismo professionistico, ospitando gare importanti. È questa la filosofia di Carpi, riassunta ieri dal Sindaco Alberto Bellelli nella presentazione della tappa Carpi-Reggio Emilia del 33° “Giro Donne” in programma martedì 5 luglio.
I numeri parlano di una grande competizione internazionale: il “villaggio” del giro infatti conta circa 600 persone, fra atlete (144 in rappresentanza di 24 squadre fra le migliori al mondo) tecnici e organizzazione, e la copertura televisiva interessa 160 Paesi. Ma imponente è anche la macchina organizzativa attivata dalla Polizia Locale già da alcuni giorni: per informare porta a porta chi vive o opera nelle vie del tracciato; e per vigilare durante la corsa, quando circa 110 fra agenti e volontari saranno impegnati lungo il percorso a garantirne la sicurezza e presidiare i varchi. La città dei Pio, che in maggio è stata attraversata dal Giro d’Italia e in ottobre ospiterà il “via” del “Giro dell’Emilia”, accoglierà il “quartier tappa” nell’ineguagliabile piazza dei Martiri, dov’è fissata la partenza alle 11.
L’accoglienza prevede anche alcune iniziative collaterali, la mattina stessa e nei giorni precedenti, illustrate dagli assessori Andrea Artioli (sport) e Tamara Calzolari (Sociale e Pari opportunità): alcune molto simboliche, col richiamo all’importanza della bicicletta nella storia carpigiana, fra economia e costume, emancipazione femminile e Resistenza. Come lo spettacolo “Alfonsina corridora” (domenica sera nel Cortile d’onore del Palazzo dei Pio), sull’incredibile storia di Alfonsina Morini (1891-1959), modenese figlia di contadini, prima donna al Giro d’Italia (1924), con campioni che si chiamavano Binda e Girardengo; o come la mostra dell’Anpi “La bicicletta nella Resistenza” (martedì mattina in piazza), e il progetto Udi “Donne a pedali”, con cui le immigrate straniere imparano a usare la bici, acquistando autonomia e libertà – è stato detto – come nel ‘900 le nostre nonne, che salendo in sella poterono essere di volta in volta braccianti, “staffette”, operaie e magliaie.