L’occhio fisso alla meta
Il nostro agire ha un senso quando ha un indirizzo chiaro; quando è guidato da uno scopo ben definito. Questo è possibile quando il nostro agire nasce da un vero interesse; da qualcosa che si ritiene importante e si desidera. Quando è così, tutta l’attività in questione è orientata all’obiettivo che si vuole raggiungere e si è sempre attenti a non fare cose che non servono o che addirittura potrebbero ostacolare. San Tommaso, al riguardo, ha una frase molto espressiva: “ubi amor, ibi oculus”. Potremmo tradurre liberamente: “l’occhio si ferma dove batte il cuore”. Dice in modo positivo ciò che una famosa canzone dice in termini negativi sul rapporto tra due persone: “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Quando si ama una cosa, si cerca di conoscerla sempre meglio.
Nelle nostre attività pastorali diamo molta importanza alle strutture, fino a ritenere che alcune siano del tutto inamovibili, e diamo meno valore ad altri aspetti delle attività pastorali; tra cui la qualità del nostro operare, appunto, e la scelta e preparazione dei soggetti che devono agire. Desidero soffermarmi su due aspetti in particolare: la catechesi e il cammino sinodale. La mia non è una critica di quello che si fa. Non ho nessun diritto per farlo. Semplicemente, voglio mettere in evidenza alcuni aspetti che spesso non sono molto considerati.
La catechesi dei bambini è una delle attività parrocchiali più impotanti. Negli ultimi tempi ci si preoccupa anche parecchio della catechesi degli adulti. Dobbiamo chiederci: qual è lo scopo che vogliamo ottenere con queste attività? Qualcuno potrebbe rispondere: preparare i bambini ai sacramenti della cresima e della comunione. Ma è proprio così? In realtà, questo scopo ne suppone un altro più importante: trasmettere la gioia del Vangelo. Il bambino e l’adulto, in modo differente, dovrebbero giungere a sentire nel concreto della propria vita la bellezza di quello che Gesù ci dona; quella bellezza che ci salva perché ci realizza veramente. Ottenere questo scopo impegna molto. Un impegno che suppone la scelta e la preparazione di persone idonee e la consapevolezza di dover approfondire sempre meglio i contenuti che si devono trasmettere.
Quanto al Sinodo, siamo indotti a creare confusione dall’uso stesso delle parole. Si parla indifferentemente di sinodo e di cammino sinodale. In realtà, queste due espressioni indicano cose diverse. Sinodo indica un momento particolare nella vita di una chiesa e si propone come scopo far emergere un consenso su alcune scelte ritenute importanti per la vita della comunità. Il cammino sinodale, invece, indica il modo di vivere la comunione all’interno della Chiesa; un modo che deve caratterizzare in maniera particolare il sinodo, ma che deve estendersi anche al cammino che ogni comunità ecclesiale, e la chiesa come un tutto, devono fare nel corso della storia. Il non avere chiari questi scopi diversi si corre il rischio di cadere in una dispersione che impedisce di produrre i frutti che si sperano. Quando l’occhio è fisso al fine che si vuole raggiungere, non ci si perde in chiacchiere; così come in una gita in montagna se si vuole raggiungere la vetta in fretta non ci si ferma a raccogliere mirtilli.
Anche al di fuori della pastorale, in dibattiti su questioni importanti, come quello sulla guerra in Ucraina, è importante definire bene lo scopo che ci sta a cuore. Nei dibattiti che abbiamo potuto ascoltare si sono facilmente confuse tre cose: un giudizio di condanna sull’aggressione russa, il bisogno di aiutare l’Ucraina e ciò che si vuole ottenere il più presto possibile, ossia la fine della guerra. Sono tutti elementi di una stessa situazione, ma sono cose diverse. In particolare, l’aiuto alla Ucraina e la fine della guerra sono due finalità diverse, ognuna delle quali può essere raggiunta con mezzi diversi, e per questo discutibili. Ci si deve chiedere: qual è il modo migliore di aiutare l’Ucraina? Inviando armi o offrendo aiuti di altro tipo? In particolare cercando intermediazioni che permettano risolvere il conflitto? E qual è il modo di far terminare la guerra al più presto? Sconfiggere l’aggressore, senza considerare cosa questo comporterebbe, oppure cercare un compromesso tra le parti in conflitto? Le risposte devono essere cercate attraverso un dialogo sincero.
Tutti, però, dovrebbero riconoscere che i mezzi devono essere giudicati in rapporto al fine che si vuole raggiungere. E nella valutazione di questioni del genere è necessario vedere se i costi che si devono pagare sono superiori al bene che si riesce a ottenere.