Le chiese della Diocesi a dieci anni dal sisma
Il 2 giugno a Mirandola il secondo convegno promosso dalla Diocesi per i dieci anni dal sisma del 2012.
di Sandra Losi, direttore Ufficio Diocesano Patrimonio Immobiliare
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Gli anniversari, tutti, da quelli personali a quelli collettivi, nel lungo periodo diventano aridi numeri che misurano la distanza temporale da un evento, privando il ricordo di quegli stati d’animo che ci hanno profondamente toccato dentro, lasciando una impronta nel nostro vissuto, un segno più o meno marcato a seconda delle diverse esperienze personali. Questo decennale del sisma emiliano – che in ambito carpigiano ricorre più il 29 che il 20 maggio -, non fa eccezione. Improvvisamente tutti cercano i numeri della ricostruzione, per dimostrare “se e quanto stati bravi” a ripristinare la normalità. Ma quale normalità?
Un evento come il terremoto, se distruttivo come quello emiliano, è equiparabile a un lutto, che va rielaborato. Questo percorso di rielaborazione richiede tempo. Se in prima battuta è rassicurante (consolatorio) sentirsi dire che tutto sarà ricostruito “com’era e dov’era” occorre maturare la consapevolezza che nulla sarà più davvero come prima, anche solo perché le persone sono diventate diverse dopo un evento così traumatico.
Nell’ambito del territorio della Diocesi di Carpi (che ricomprende i comuni di Carpi, Novi, Rolo, Concordia, San Possidonio e Mirandola, e le frazioni di Limidi e Panzano) ricordiamo tutti le “zone rosse” di Concordia, Mirandola e Carpi, e le prime tendopoli, per fortuna rimaste solo pochi mesi, e gli appuntamenti fissi settimanali di aggiornamento della situazione di emergenza e delle azioni intraprese “nelle stanze dei bottoni” per poter garantire la possibilità di restare sul territorio a vivere e a lavorasiamo re e non migrare altrove. Ricordiamo che l’ora del sisma non è coincisa con momenti di attività collettive, fra cui le Cresime e le Comunioni, che avrebbero reso inesorabilmente più alto il numero delle vittime.
Allora non ricordiamo solo i numeri, ma anche queste cose del vissuto di quei giorni e del primo anno. Con una visione d’insieme guardiamo i numeri. L’elevato numero di pratiche della ricostruzione privata e del produttivo sta a significare che solo in 10 anni la quasi totalità delle persone ha riconquistato la casa dove vivere e il luogo in cui lavorare. Grazie a soluzioni o strutture ad uso provvisorio (in linea con la strategia di ricostruzione intrapresa dalla struttura commissariale, che ha consentito alle persone di non abbandonare i luoghi di origine) quelle stesse persone hanno avuto la possibilità di avere qui da subito i luoghi delle funzioni pubbliche, in attesa della ricostruzione di quelli danneggiati o distrutti.
Le chiese rientrano in quest’ultimo pezzo della ricostruzione. Se già dopo pochi anni è iniziata la riapertura progressiva di alcune delle 44 chiese danneggiate (ovvero più del 90% dell’intero patrimonio ecclesiale diocesano è stato danneggiato anche pesantemente), fra cui la Cattedrale di Carpi (a differenza, lo diciamo con dispiacere, della cattedrale di Ferrara), il Duomo di Mirandola e la chiesa di Sant’Ignazio, sede del Museo Diocesano, in questi 10 anni è stato comunque compiuto un passo importante per le comunità diocesane. Sono state riaperte le chiese di Rolo, Vallalta, Limidi, Panzano, Cortile, Sant’Antonio in Mercadello, Santa Croce, Cibeno, Quartirolo, il santuario della Madonna di Ponticelli e, a Carpi, le chiese del Corpus Domini, del Santissimo Crocefisso e di San Bernardino da Siena. Più recentemente, la chiesa di Santa Giustina Vigona a Mirandola e quella di Budrione.
Il lavoro ovviamente ancora non è concluso, e prosegue – mi sento proprio di assicurarlo – con tenacia: il nuovo assetto degli Uffici della Curia, dopo una riorganizzazione delle diverse operatività, sta riavviando il percorso di tutte le pratiche pregresse e mettendo in moto quelle messe a piano dalla Regione solo pochi mesi fa, fra cui il caso più vistoso è forse quello della chiesa vecchia di Fossoli. Sarebbe poco generoso dimenticare che gli ultimi due anni e mezzo sono stati complicati dalla pandemia e dalle criticità del mercato edilizio, con una lievitazione rilevantissima dei prezzi, per non parlare della concorrenza dei bonus, che attira e sposta dalla ricostruzione maestranze e tecnici.
Pertanto, dopo 10 anni, il capitolo delle chiese – messo volutamente in coda dopo la ricostruzione delle case e dei luoghi di lavoro – non è certo dimenticato o finito in secondo piano. Molti hanno con acutezza osservato che il prolungarsi dei tempi della ricostruzione consente di intervenire al meglio anche in prospettive pastorali e religiose che mutano. Non si tratta tanto di ricostruire proprio com’era prima, ma di strutturare la storia passata aprendola alle nuove esigenze pastorali e missionarie del futuro.