Baby gang
Il fenomeno è una triste realtà da affrontare senza scappare dalle responsabilità.
ph Ansa – SIR
Sono passati trent’anni da quando, giovane direttore di giornale, mi soffermavo sulla cronaca che arrivava dagli Stati Uniti, in cui si parlava delle baby gang. Tranquillo, mi diceva un giovane che viveva da quelle parti. Tempo poco tempo, il fenomeno ce lo ritroveremo anche qui da noi. Come il chewing-gum, la Coca Cola e tutti i fenomeni di costume. Loro, gli americani, nel bene e nel male arrivano prima, ma poi l’onda attraversa l’Atlantico e ce la ritroviamo in casa. Mai profezia fu più vera.
Ha fatto scalpore la notizia di due adolescenti che la scorsa settimana, in pieno centro a Verona, hanno mandato all’ospedale un ragazzo per rubargli il monopattino e un attempato signore che era intervenuto per cercare di difenderlo. Due scatenate amazzoni. O più brutalmente due giovani aspiranti delinquenti, agli esordi di una carriera che potrebbe rivelarsi devastante per il loro futuro e per la società, se solo non riusciremo a intervenire in tempo. I Servizi Sociali ci dicono che ormai sono tra 15 e 20 le bande di adolescenti che operano sul territorio. Cosa fare? Si chiedono psicologi, famiglie, amministratori, docenti…
Da queste pagine, la scorsa settimana veniva riportato un detto importante di San Giovanni Bosco che di giovani inquieti ne aveva incontrati tanti, il quale diceva che il sistema repressivo può impedire un disordine, ma difficilmente farà migliori i delinquenti. Affermazione che ci riporta all’unica soluzione possibile del problema, che è quella educativa. È evidente che dietro il fallimento di questi ragazzi c’è un fallimento educativo. A cominciare dalla famiglia. Non ho nessuna intenzione di infierire, ma neppure quella di nascondere la testa sotto la sabbia. Se mai potessimo fare una radiografia ai mali della famiglia, scopriremmo che è da lì che cominciano i problemi.
Genitori inconsistenti, alle prese con immaturità e miserie affettive, che si riversano automaticamente sui figli. Si sente parlare di ragazzi deviati, figli di buona famiglia, dove in realtà la buona famiglia è spesso il paravento fragile e ipocrita per incartare situazioni ambigue ed affettivamente problematiche. È su questo versante che sarà necessario intervenire con urgenza, facendo passare un principio di responsabilità fondamentale. Fare un figlio non è questione generativa, ma educativa.