Una giornata particolare per celebrare un sentire nuovo nato come risposta alla guerra
Rossosch – Russia – Distrutto e sfregiato con la Z il cippo a ricordo dei caduti realizzato dagli Alpini
79 milioni 247 mila 142 euro. Si dice che i numeri non hanno l’anima. Sarà. Ma è altrettanto vero che hanno un linguaggio capace di dire più di tante parole. La somma è quella che gli alpini hanno dato nel 2021, anno horribilis per tanti versi, sommando raccolte di denaro e ore lavorative prestate. Che poi, se andassimo a sbirciare oltre i dati, troveremmo bocche cucite, occhi vigili e mani coi calli. Qualcuno la considera retorica. Ma quella, caso mai, fa talvolta capolino nelle parole di chi commenta.
L’essenziale dei fatti non conosce né enfasi, né retorica ed è ben custodito nella coscienza dei tanti alpini che lavorano senza chiedere nulla. Di solito noi chiamiamo questo sentire alpinità. Chissà mai se l’Accademia della Crusca la vorrà registrare tra le nuove parole del vocabolario italiano, consentendo ai curiosi della lingua di conoscere quale ricchezza umana si nasconde dietro a questa espressione. Papa Francesco, ricevendo i vertici dell’Ana, ci ha definiti una famiglia, sostenendo che essa va avanti da più di cent’anni, non solo per comunanza di valori condivisi, che potrebbe riguardare l’aspetto sociale. E neppure per l’aspetto organizzativo. È famiglia per lo spirito di altruismo che ha saputo esprimere. «Non si è alpini per se stessi, ma per gli altri e con gli altri». Così ha detto. La gente, che ha il fiuto innato dei segugi, questo lo ha capito da tempo. Ed è certamente il riconoscimento di un sentire popolare, prima ancora che politico, quello che ha portato il Senato, lo scorso 6 aprile, a dare il via definitivo alla legge che riconosce il 26 gennaio come “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino”.
Una decisione cha aveva iniziato il suo percorso alla Camera dei Deputati nel 2019 e che ora è stata approvata all’unanimità. L’Ana in questi anni, per bocca del Presidente Sebastiano Favero, aveva ripetutamente fatto presente la disponibilità perché si scegliesse la data più opportuna. Chi vedeva meglio il 15 ottobre, anno di fondazione delle Truppe alpine. Chi luglio, a memoria della battaglia sull’Ortigara o altre date significative dell’epopea alpina. Chi proponeva il 26 gennaio, drammatica della battaglia di Nikolajewka quando, a fronte dei 61 mila alpini mandati al fronte, 41 mila non tornarono più a baita. Alla fine è prevalsa quest’ultima scelta.
Si sa che per i malcontenti anche un’alba di sole può diventare pretesto per cominciare male la giornata. Tra le voci più garbate quella di chi trova inopportuno celebrare la giornata degli alpini il giorno prima di quella della Shoah, prevista per il 27 gennaio, con il rischio di annacquarle entrambe non potendo concentrarsi in maniera più approfondita su una sola. Rischio possibile, ma che si può facilmente raggirare giusto se non si liquidano i problemi il giorno della scadenza, come si fa col pagamento delle bollette. Ma tra gli oppositori della scelta c’è anche chi ha voluto vedere la rivalutazione di una guerra aggressiva, quale fu quella scatenata da Hitler e Mussolini, dandole una veste di credibilità nazionalistica sotto il pretesto del martirio degli alpini.
A questi amici, dalla penna facile e dalla memoria fragile, vorremmo ricordare che gli alpini che morirono in terra di Russia non furono gli antesignani dei carnefici di Mariupol o dei massacri di Bucha. Furono essi stessi dei martiri del fascismo e la scelta della strada per Nikolajewka, come via di ritorno a casa, voluta dal generale Reverberi, contravvenendo a tutte le disposizioni date, fu una disobbedienza fatta in libertà di coscienza. Quello fu nei fatti anche l’inizio di un processo di liberazione dalla logica della dittatura, che portò alcuni dei reduci, una volta rientrati in Patria, ad arruolarsi tra le file partigiane per combattere il regime al potere.
Sarà il tempo a sopire le polemiche. L’importante è che il pretesto di questa giornata serva, come ha ricordato il Presidente degli alpini a «coinvolgere le nuove generazioni perché sia fatta memoria del nostro passato. La memoria è fondamentale, perché un popolo che la perde, perde la propria identità».