A chi dobbiamo credere?
Credere significa dar credito, avere fiducia in qualcuno, ritenere vero quello che un altro dice. Avere fiducia nelle persone è un fatto molto positivo. E’ ciò che permette un minimo di coesione sociale. Senza fiducia reciproca si cade nel peggiore individualismo, che è un vero cancro per la società. Inoltre, dobbiamo la maggior parte delle nostre conoscenze alla fede che abbiamo riposto in chi ci ha preceduto. Purtroppo, però, non tutti meritano fiducia. Ai nostri giorni, le fabbriche di fake news, gli opinionisti che si esibiscono nei tanti talk show difendendo posizioni contrarie senza che alla fine nulla permetta di capire chi abbia ragione, e tanti altri fenomeni sociali, giustificano la domanda: a chi dobbiamo credere?
Non ho la pretesa di rispondere alla domanda come tale; voglio appena indicare alcuni criteri che ci possono aiutare ad essere “credenti” avveduti. E per questo ricorro ad un personaggio del Vangelo, l’apostolo Tommaso. Tutti sappiamo che il suo comportamento è diventato proverbiale. Quante volte si dice: “è come san Tommaso, non crede se non ci mette il naso”. L’evangelista Giovanni, che nel suo vangelo si propone di mostrare che Gesù è il Figlio di Dio, privilegia tra le tante testimonianze, quella di Tommaso, che presenta come protagonista in ben quattro episodi.
Il primo episodio è narrato in Gv 11,6 : “Quando Gesù udì che Lazzaro era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: Andiamo di nuovo in Giudea. Allora i discepoli gli dissero: Rabbi, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? Gesù allora disse loro apertamente: Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!. Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: Andiamo anche noi a morire con lui!”. Questa affermazione mostra nell’apostolo il coraggio della verità. In modo implicito dice agli altri discepoli che loro non sono tanto preoccupati per Gesù, quanto per la loro vita. Il coraggio della verità, quando è vero, ci impedisce di credere solo quando possiamo averne vantaggi. Quanti politici dicono cose solo per ottenere un consenso!
Il secondo episodio è raccontato in Gv. 14,3-6: “Gesù disse: quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via. Gli disse Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. Qui, la domanda di Tommaso rivela serietà: quando si ascolta è necessario anche capire, e quando non si capisce si devono formulare domande.
Il terzo episodio è il più conosciuto. E’ narrato in Gv 21, 19 : “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”.(…) Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Qui Tommaso rivela un atteggiamento prudente. La risurrezione di un morto non è un fatto da credere ad occhi chiusi; occorre averne prove sicure Il quarto episodio è narrato subito dopo nello stesso capitolo. “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Di fronte all’evidenza, Tommaso crede e va anche oltre: crede non solo nella realtà umana del Gesù risorto, ma ne afferma anche la sua divinità. Prostrandosi, chiama Gesù “mio Signore e mio Dio”.
I criteri per credere sono soprattutto questi quattro: il coraggio e l’amore per la verità; la necessità e il diritto di capire quel che ci è detto; non essere dei creduloni senza spirito critico; arrendersi davanti all’evidenza comprovata dalla nostra esperienza.