Il dialogo nei conflitti tra i popoli
Il dialogo è particolarmente difficile, e assolutamente importante, nei conflitti tra popoli. La nostra Costituzione, all’articolo 11, afferma che i conflitti tra le nazioni non devono mai essere risolti con quel metodo ritenuto per millenni l’unico possibile, ossia la guerra: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Per difendersi da ingiustizie e sopraffazioni si deve ricorrere a forme di difesa non violenta e, soprattutto, al dialogo. Ma quali sono le condizioni necessarie perché il dialogo in questo caso possa essere efficace?
Anzitutto, è necessario crederci. Chi si dispone a dialogare pensando già in partenza che non servirà a nulla, certamente non farà tutti i passi necessari per una sua efficacia. In secondo luogo, è necessaria perseveranza. Il fatto che l’altra parte non sia sufficientemente disposta al dialogo non è una ragione per abbandonare tutto. Anche quando l’avversario decide di ricorrere alla forza, si deve insistere per una possibile ripresa delle trattative.
In terzo luogo, occorre sincerità e trasparenza. Il linguaggio usato deve essere chiaro e non nascondere tranelli. Gesù ci dice in modo lapidario che il nostro parlare deve essere sì quando è sì, e no quando è no. Il sì e il no esprimono l’essenza di ogni parlare: ogni discorso, quando dice qualcosa, si riduce sempre a una affermazione (positiva o negativa), a un sì o a un no, appunto; e in ogni affermazione il soggetto che la pronuncia si impegna per la verità di quanto dice. Queste sono le condizioni previe fondamentali.
Le altre condizioni sono quelle tipiche di ogni dialogo. Anzitutto, è necessario ascoltare e capire le ragioni dell’avversario. In secondo luogo, è necessario valutare e giudicare le ragioni dell’altro non alla luce dei propri interessi, ma con oggettività; sforzandosi anche di capire le ragioni soggettive che l’altro può avere nel difendere posizioni oggettivamente ingiuste. In terzo luogo, è necessario riconoscere con coraggio in che modo le proprie posizioni possono conciliarsi con le rivendicazioni dell’altra parte. Sapendo anche cedere quando si tratta di salvare un bene maggiore. In quarto luogo, trattandosi di un dialogo in funzione di scelte operative, è utile allargare lo sguardo e aprirsi a prospettive nuove che potrebbero anche significare un passo in avanti nel rapporto tra i popoli.
I cristiani, poi, non dovrebbero dimenticare la lettera enciclica di Papa Francesco, Fratelli tutti. Parlando dell’importanza del dialogo il Papa scrive: “Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Non c’è bisogno di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto” (n198).
Anche il mondo della comunicazione dovrebbe lasciarsi guidare dai valori intrinseci a un dialogo vero. Non è possibile essere a favore della pace e poi non condannare esplicitamente qualsiasi guerra. Non è possibile condannare un intervento armato in qualsiasi paese e non volere che la guerra iniziata si fermi subito. Non è possibile affermare che la pace è un bene che tutti vogliono e poi fare in modo che nei dibattiti televisivi prevalga l’idea che la guerra, in certi casi, è l’unico strumento capace di risolvere i conflitti internazionali. Non è possibile credere ancora nel valore normativo della nostra Costituzione e poi trovare ragioni per giustificare un intervento militare. Nei media e nei social spesso riscontriamo posizioni che sono in evidente contrasto con i principi della nostra Costituzione.