Il dramma di tanti poveri nascosto nel pudore del silenzio e da tanta pelosa indifferenza
Mando un messaggio ad un amico che non sento da un po’ di tempo. Ha oltre settant’anni e abita da solo nella Bassa veronese. La sua vita è stata difficile. Orfano di padre in tenerissima età, cresce con una madre dall’equilibrio instabile, che gli sbarra le porte del mondo, chiudendolo dentro una prigionia affettiva senza vie d’uscita. La cosa non gli farà mai perdere il sorriso, perché la natura l’ha dotato di una dolcezza e di una sensibilità straordinarie, anche se resterà per sempre un pulcino indifeso bisognoso di supporto.
Dopo un po’ mi richiama al telefono e sento, da subito, che il tono non è quello di sempre. “Sto attraversando una forte depressione”, mi anticipa, e di lì a poco mi dirà anche il perché. “La vita non è stata buona con me”, aggiunge. “Dopo un’infanzia e una adolescenza infelici, ora è la vecchiaia a fare loro concorrenza”. Gli chiedo se stia facendo qualcosa per occupare il tempo e così distrarsi un po’. La risposta mi raggela, anche se fingo indifferenza: “No – mi dice – con la pensione minima che mi ritrovo non riesco a pagare bollette varie, mangiare e riscaldare la casa. Uso una stufa a pellet, che mi garantisce di tenere cucina e camera tra i 16 e i 17 gradi. Passo le giornate in due stanze. Ora ho 17 gradi e sono qui, da solo, aspettando che passi il freddo”.
Poi andiamo sull’argomento depressione. La pandemia, con tutte le restrizioni imposte e con il timore di ammalarsi, ha reso ancora più acuta la sua solitudine. E lui, sperando di trovare conforto nella fede, si è messo a leggere ed ascoltare i messaggi veri o presunti, provenienti da Medjugorie. “Ho paura”, mi confida. “Si parla di guerra imminente, che la Madonna dà con certezza. E poi minacce di ogni male se non ci convertiamo”. “Sono angosciato, prigioniero della mia solitudine, delle paure che mi prendono e dell’in- certezza sul mio futuro”. Sto ascoltando al telefono un uomo fragile, ma lucido e rassegnato nel raccontare la storia della sua tristezza, mentre mi chiedo se non sia ora di finirla di offendere la Madonna, nostra Madre, da parte di ciarlatani venditori di frottole, di cui dovrebbe occuparsi la psichiatria.
Chiudo la conversazione con un’amarezza che altre poche volte ho provato. Mando qualche messaggio ad amici che so essere sensibili, in attesa di fare qualcosa. Ma non mi faccio tante illusioni. Lapidaria una signora, che va sempre in cesa: “digli di leggere e ascoltare qualcos’altro”. Sono due i sentimenti che mi crescono dentro. Uno è di rabbia e mi viene dal vedere che nessuno scende in piazza a protestare per il rincaro energetico, che sta strozzando imprese e tanti poveri costretti a vivere di niente. Manifestano i No Vax, i No Tav, i No Niente, i No Manco di niente… Nessuno che dia voce a milioni di poveri, il cui grido giunge ormai soltanto agli orecchi di Dio. Penso ad una politica occupata a parlare di eutanasia, di legge Zan, di gender, di cose lontane anni luce dai bisogni reali della gente, e la popolazione che non ha più la forza di ribellarsi.
Il Vangelo di questa ultima domenica sembra fatto apposta per entrare in scena e parlare alle coscienze. Beati voi poveri, beati voi che avete fame, beati voi che siete nel pianto… Non si dice beata la povertà, beata la fame e il dolore. Gesù guarda in faccia le persone e le chiama beate non per la loro condizione, ma perché d’ora in avanti, Lui e quelli che dicono di essere suoi si faranno carico del loro patire. Come se dicesse: state sereni, perché al vostro fianco, ci saremo noi a camminare insieme. Mi sembra di aver capito, per la prima volta, il senso vero e profondo di questo passo evangelico, come se fossi riuscito a scartarlo dall’involucro di tanta teologia e tanti studi biblici custoditi nei libri. La Buona notizia se non arriva alla vita, si trasforma facilmente in teoria e qualche volta in ideologia. Dando, allora sì, ragione a Marx, quando diceva che essa è oppio del popolo. Speranze vuote perché nulla cambi.