Non aiutiamo i giovani a diventare persone adulte liberalizzando la cannabis
Se torniamo su Sanremo non è per addentrarci nella critica canora, che non ci appartiene né per competenze, né per interesse particolare. È piuttosto che, come fatto di costume (e cosa più del Festival lo è?) tende ogni volta a sdoganare comportamenti o argomenti spinosi, che sembrano trovare maggiore difficoltà a farsi largo per altre strade. E non sto pensando ai gesti trasgressivi di qualche cantante pronto a scimmiottare un finto battesimo al termine della propria esibizione.
A lui vorrei dire che non basta colpire lo stomaco degli ascoltatori per distrarre l’attenzione dalle carenze artistiche, così come non basta avere la tutela di qualche illustre zia televisiva per trasformare un tordo in usignolo. Penso invece a tanti messaggi, spesso veicolati da quelli che continuiamo a chiamare very important ossia i famosi vip, che hanno buon gioco a farci credere che notorietà sia sinonimo di credibilità.
Tra i messaggi che da un po’ di tempo sono in circolazione, è uscito anche quello dell’uso della cannabis, sostanza psicoattiva da cui si ricava hashish e marijuana, ovvero la sostanza resinosa e la parte vegetale, da fumare con le famose canne. Libera o da proibire? Da passatempo o solo per uso medico? A gettare l’esca un’ospite della prima serata, pronta a sponsorizzarne la circolazione libera, salvo ripiegare in retromarcia, intimorita difronte a qualche reazione del pubblico. Ho detto, ma non volevo, pensavo ma non era quello… insomma, come si dice in Veneto, pezo el tacon del buso.
Purtroppo su questo argomento manca davvero un dibattito serio. In Tv i talk-show non sono più da tanto tempo luoghi di confronto sereno, dove far crescere le idee, grazie anche al contributo di chi la pensa diversamente. Oggi questi spazi di dibattito si sono trasformati in mercato di opinioni, dove chi va è spesso soltanto il portavoce di politiche o pensieri altrui, senza la possibilità o l’intenzione di confrontarsi seriamente.
E così, anche su questo tema, si è finito per creare le fazioni dei guelfi e ghibellini, ossia proibizionisti e antiproibizionisti, dove la preoccupazione, da una parte e dall’altra, non è quella di vedere cosa sta dietro al problema dell’uso delle droghe in termini psicologici, psichiatrici, neurologici, sociali, ma semplicemente di sistemare la questione, ed anche la coscienza, mettendo il catenaccio o spalancando la porta.
Ma sia che la porta sia lasciata chiusa o spalancata, la domanda vale per tutti. Perperson, ché oggi a partire dalla primissima adolescenza, molti ragazzi sentono il bisogno di far ricorso alle droghe, all’alcol, all’uso patologico di internet, allo sballo per lo sballo, alla violenza di gruppo? Scrive Tonino Cantelmi, psichiatra e psicologo, luminare nella psicoterapia relazionale: «I giovani si addentrano nel mondo delle droghe e ne fanno uso per sperimentare sensazioni di piacere, eccitanti, per combattere la noia, per curiosità, per sentirsi a proprio agio nel gruppo, per combattere le inibizioni e per abbattere le barriere psicologiche nella comunicazione o perché attratti e affascinati dalla trasgressione. Cannabis, alcol e altre sostanze diventano gli anestetizzanti più immediati del disagio emotivo che inonda l’animo».
Mi chiedo quanto di questo disagio non vada ricondotto soprattutto a quella instabilità di valori che si è impadronita delle nostre case, creando quel fenomeno della modernità liquida, dove non esistono più punti fermi e adulti psicologicamente consistenti, capaci di dare solidità e responsabilità all’animo umano. Se così fosse, più che di cannabis, le nuove generazioni avrebbero bisogno semplicemente di educatori credibili.