Il più sublime dei sensi (parte 2)
Riprendiamo il discorso sul tatto focalizzandoci sulla nascita del bambino. Il tatto è l’ultimo dei sensi che viene ricordato, infatti, nel nostro modo di percepire, sembrano più importanti e nobili l’odorato, la vista e il gusto ma in realtà, il tatto è veramente straordinario e forse è il senso più sublime tra gli altri. La madre umana ha bisogno d’imparare: quando nasce un bambino nasce una madre ma perché questo avvenga è necessario che si stabilisca all’esterno una unità simile a quando il bambino nuotava nel ventre materno.
Quando un neonato viene accolto nella famiglia, in una società, nella comunità religiosa, è segno che viene riconosciuta la sua personalità, quel bambino è cittadino del mondo. Poiché, però, per il momento non è ancora possibile uno scambio verbale allora la comunicazione segue vie diverse, attraverso il tatto, l’odorato e la vista.
Tra noi umani, certamente, la carezza è il gesto più eclatante; anche durante l’allattamento madre e figlio si fissano con intensità e iniziano ad approfondire un processo di reciproca esplorazione tattile: le mani del bimbo toccano il seno, la guancia della mamma e anche la mamma lo guarda e tocca il suo morbido profilo. In questo modo il bambino impara a conoscere nello stesso tempo la propria pelle e quella dell’altro, il fatto che è separato dalla mamma ma che la mamma mantiene un rapporto stretto con lui.
Questa relazione madre figlio costituisce il prototipo di tutti gli ulteriori legami affettivi. Nei momenti di agitazione estrema, quando il piccolo non riesce a controllare ansia e agitazione psicomotoria, solo l’abbraccio e la voce della mamma riescono a calmarlo, riescono a dare quel messaggio estremamente importante che lui non è solo. Didier Anzieu, scrive di un “io pelle” sottolineando l’importanza che il neonato sperimenti nel contatto con la mamma tanto la sensazione di contenere quanto quella di essere contenuto.
Concludo con una nota forse un po malinconica ma estremamente vera: una vita che inizia con una carezza, la carezza della mamma, molto spesso si conclude, e ce lo auguriamo di cuore, con una carezza. Nei momenti di particolare commozione e trepidazione per il congedo da una persona cara, mancano spesso le parole per comunicare le emozioni più forti e allora il gesto si sostituisce alla parola. Quel gesto, quella carezza è capace di raggiungere la persona sofferente che apparentemente, anche se a pochi centimetri, pare lontanissima. Il ciclo dell’esistenza si chiude così con il medesimo gesto che assume due significati differenti: all’inizio della vita è di benvenuto e alla fine della vita è di congedo.