La manomissione delle parole
Mi riferisco al titolo dell’ultimo saggio di Gianrico Carofiglio. La manomissione delle parole interferisce molto anche nella comprensione e nel dibattito di problemi importanti come quelli di bioetica. Non raramente il discorso è viziato da una argomentazione che nasconde concetti non aderenti alla realtà in discussione. Lo si può osservare analizzando, per esempio, le divergenze di opinioni che esistono nel caso di eutanasia, aborto, legittima difesa, procreazione assistita, ecc. Questo perché le parole esprimono concetti, ossia comprensioni particolari della realtà.
Attualmente, la parola aborto è spesso sostituita dall’espressione “interruzione della gravidanza”. Secondo alcuni sarebbe la stessa cosa. In realtà ci si riferisce a due soggetti diversi: l’aborto si riferisce al nascituro; l’interruzione della gravidanza si riferisce alla madre. Nel primo caso si tratta della morte del nascituro; nel secondo caso si tratta di una madre che si libera di un incomodo o di una minaccia. Nel primo caso si tratta di comprendere se l’embrione è già una persona umana (nel qual caso l’aborto sarebbe un omicidio), o se invece si tratta di impedire appena la nascita di un futuro essere umano.
San Tommaso, per esempio, in base alla sua concezione filosofica, pensava che l’anima fosse infusa da Dio dopo il quarantesimo giorno dal concepimento, per cui nei Commenti alle Sentenze di Pietro Lombardo (lib. 4 d. 31 q. 2 a. 3 expos.), scriveva che praticare un aborto era un peccato grave, anche se non quanto l’omicidio, e che era equiparabile al praticare dei malefici. Nel secondo caso, invece, si tratta di un problema della madre, per la quale il nascituro potrebbe essere una minaccia alla sua vita. Sappiamo che anche la morale cattolica ammette la liceità di un aborto quando è messa in gravissimo pericolo la vita della madre.
Santa Gianna Beretta Molla è ammirata per il suo eroismo nel preferire morire lei piuttosto che impedire a sua figlia di nascere; questo eroismo, però, non è richiesto a tutti. In questo caso, il problema è definire il reale rischio di vita per la madre: sono i medici a poter decidere? O si deve lasciare alla madre il diritto di giudicare e decidere? E i fattori di rischio possono essere anche di ordine psicologico?
Quanto al diritto alla propria difesa, oggi si parla con molta disinvoltura di “legittima difesa”, sempre, in ogni caso. In realtà ci sono vari modi di difesa, e sono questi a renderla legettima oppure no. Si può parlare di legittima difesa, tale da giustificare anche l’uccisione del nemico, solo quando si verificano tre condizioni: si tratta di un rischio attuale e proporzionale e non esistono altri mezzi per difendersi. Per esempio, non può essere legittima difesa uccidere uno che sta scappando, o per difendere appena il furto di qualche gioiello.
Anche parlando di eutanasia, la manomissione delle parole può interferire abbastanza. E’ un termine che si traduce normalmente con l’espressione “dolce morte”. In realtà si dovrebbe tradurre “morte buona”. Di fatto, la morte per sé non è né dolce né buona. Può essere considerata dolce solo in quanto libera da una situazione di gravi dolori; ed è buona solo quando apre la porta a una vita di pienezza nella eternità.
Nel primo caso si dovrebbe non ricorrere alla morte, ma a medicine che diminuiscono il dolore e il malato dovrebbe essere circondato da molto affetto, facendogli sentire che la sua presenza è importante per chi lo ama. Nel secondo caso, la morte dovrebbe essere esclusa proprio perché la vita deve sempre essere vissuta come un dono che Dio ci fa. Usando i termini adeguati, sarebbe anche più facile distinguere l’eutanasia dall’interruzione dell’accanimento terapeutico, che la dottrina cattolica ha sempre escluso.
Quanto alla procreazione assistita, la manomissione delle parole consiste nel confondere sotto uno stesso nome realtà diverse: il rendere possibile la fertilità dei due sposi, il ricorso a un utero in affitto, uso di ovulo o sperma di estranei alla copia, ecc. In questo caso, è necessario affermare con chiarezza che procreare non è “fare” bambini, come spesso si sente dire. Nel rispetto della procreazione naturale è incluso il diritto, sempre più dimenticato, che il figlio ha di avere un papà e una mamma che lo hanno chiamato alla vita come espressione e sostanza del loro amore.