La Parola fatta carne
Il poeta francese Paul Claudel ha scritto: “La parola non è che un rumore e i libri non sono che carta”. E’ una espressione che contiene un certo disprezzo per le parole. In tutte le letterature se ne possono trovare di simili. Certamente, per capire queste affermazioni è necessario vederne il contesto. Rimane il fatto, però, che la parola è qualcosa che può perdere il suo valore con facilità. Questo fatto, nel Natale che stiamo per celebrare, ci obbliga a riflettere. Infatti, la liturgia ci ripropone il Prologo del Vangelo di Giovanni, che inizia così: “In principio era la Parola e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio”. La Rivelazione cristiana ci dice che nella Trinità delle Persone divine il Figlio unigenito è la Parola del Padre; la Parola in cui il Padre dice tutto se stesso. Parola in cui Padre e Figlio si riconoscono pienamente e riconoscenti si amano di Amore infinito, lo Spirito santo. La rivelazione, quindi, ci induce a credere che la parola è cosa grande.
In realtà, come tutto ciò che è umano, la parola può elevare la persona e può anche essere motivo di degrado. Per questo, ritengo utile riflettere su questi due aspetti: grandezza e miseria delle nostre parole. La parola è fondamentale per l’uomo perché rende possibile una vera comunione tra le persone. Comunione vuol dire mettere in comune. Con la parola l’uomo non comunica qualcosa di esterno, ma ciò che gli è intimo: il suo pensiero, i suoi sentimenti, ciò che lui è. Questo avviene perché il suono che colpisce l’udito di chi ascolta rimanda a qualcosa di diverso: quello che i filosofi medievali chiamavano “parola della mente”.
In realtà, se le nostre parole esteriori non esprimessero quello che noi chiamiamo “concetti”, ossia ciò che la nostra mente “concepisce” a partire dalla osservazione della realtà, sarebbero appena suoni senza senso. Purtroppo, l’uomo moderno fa di tutto per conoscere i misteri del cosmo, ed è incapace di osservare con attenzione quello che lui vive e lo caratterizza in quanto persona umana. Dobbiamo renderci conto che la comunicazione è possibile proprio perché tutti possiamo fare la stessa esperienza della realtà, tutti possiamo formulare dentro di noi concetti che la esprimono e tutti siamo in possesso di parole che la esprimono. Le parole non valgono per se stesse, ma per i concetti che esprimono; i quali a loro volta valgono solo in quanto esprimono più o meno bene la realtà cui si riferiscono.
Purtroppo, le nostre parole possono continuare a colpire il nostro udito anche quando sono vuote di signifi cato. Questo può accadere soprattutto quando ci si stacca dalla realtà e le parole diventano appena espressione di una volontà di potere e di dominio. Per una lettura utile su tante forme di degrado delle parole suggerisco il libro di Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole.
Nel Dio Trinità non c’è nessuna parola esteriore. In Dio, però, Intelligenza infinita e Consapevolezza piena e assoluta di Sé, non manca la Parola interiore. E questa Parola è unica, perché in Essa Dio dice tutto e perfettamente Se stesso. La Rivelazione ci insegna che questa Parola è anch’essa persona: il Figlio unigenito al quale il Padre comunica la pienezza del suo essere; un essere che è e rimane lo stesso anche numericamente. In questa Parola Padre e Figlio si riconoscono pienamente e riconoscenti si amano di Amore infinito, lo Spirito santo, anche Lui persona perché in Dio anche le relazioni che ne costituiscono la vita intima sono di natura assoluta.
Dio, creando l’uomo, ha voluto donarsi pienamente. Per questo, la Parola eterna, in cui il Padre si comunica al Figlio, si è rivestita della nostra corporeità, si è fatta carne, affinché noi, in Essa, potessimo leggere il suo infi nito amore e, vivificati dal soffio dello Spirito, fossimo immersi in quelle relazioni che costituicono la vita divina. Adesso, nella fede, in modo misterioso e confuso come in uno specchio; nella vita eterna, in modo chiaro e ineffabile (come scrive san Paolo in 1Cor.13,12). In questo modo, l’incarnazione ci insegna che ogni linguaggio umano è vero ed efficace se lascia trasparire la parola interiore in cui è concepita la realtà che si vuole comunicare. Le nostre parole dovrebbero avere il carattere umile e dolce del Bambino che veneriamo nel presepio, Parola di Dio fatta carne.