Una Europa non più all’altezza della sua bimillenaria civiltà e delle sue radici cristiane
Potrebbe sembrare una favola triste di Natale. Purtroppo è realtà. Aveva solo un anno il piccolo siriano che i medici polacchi, accorsi nel campo profughi al confine con la Bielorussia, hanno trovato morto non lontano dai suoi genitori feriti. Morto di freddo e di stenti, adagiato in una culla di gelo, che neppure le lacrime di suo padre e sua madre hanno potuto scaldare. Lo chiameremo Gesù, figlio di Dio che viene in questo mondo ma, a differenza del suo omonimo nato venti secoli fa, per lui non c’è stata alcuna Betlemme che lo potesse accogliere. Neppure una grotta dove trovare riparo, un asino e un bue che riscaldassero qualche stalla con un po’ di paglia dove adagiarlo, fingendo che quello potesse essere un letto dove trovare riposo.
Erano partiti dal Nord della Siria i suoi genitori. Scappavano dalla miseria. Quella che attanaglia lo stomaco e quella che toglie speranza per il futuro. A modo loro, anch’essi avevano visto una stella. L’avevano vista con gli occhi del cuore, quelli che aiutano a fare sogni in grande dettati dall’amore. Una stella che puntava all’Europa, terra che nel loro immaginario pensavano ricca di promesse per sé e per il loro piccolo. Quante volte, i piedi sanguinanti, la pioggia gelida che entrava a morsicare la carne, avranno stretto il loro bambino, proiettandolo in un sogno che non sarebbe mai avvenuto. Penso alla madre e al suo seno sempre più arido, secco, come una sorgente senza più sostanza.
Ma la stella che avevano visto non aveva fatto i conti con Erode. Un Erode dai tanti palazzi sparsi per l’Europa, preoccupato che l’innocenza di un bimbo avesse voce più forte del potere di chi comanda. E così l’astuto e camaleontico Erode ha preso il volto di Lukashenko, cinico presidente bielorusso col suo mentore Putin, il quale ha spinto i profughi innocenti verso le frontiere polacche al solo scopo di destabilizzare la Polonia e l’Europa.
Ma, ad impedire l’arrivo a Betlemme, Erode ha preso le sembianze anche dei nazionalisti polacchi. Timorosi che un nuovo fronte di immigrazione andasse a disturbare la loro quiete, hanno sguinzagliato cani, usato armi, steso rotoli di filo spinato, getti d’acqua ad altissima pressione… Là, davanti a loro, forti della disperazione, non c’erano più esseri umani, così deve essere sembrato ai loro occhi. Era l’invasione delle cavallette, la devastazione dei cinghiali, la famelica fame dei lupi. Si dimenticarono, in nome della politica, che avevano davanti delle creature. E così facendo si dimenticarono d’essere essi stessi uomini.
Ma Erode dalle molte teste, con tante corna potenti come nell’Apocalisse, era arrivato anche nei palazzi dove l’Unione Europea consuma i suoi riti. Lì, nelle stanze che contano, pasciuti e al caldo come le bibliche vacche di Basan, gli uomini e le donne del potere deploravano “ciò che stava accadendo”, auspicando, chiedendo, denunciando, proponendo, stigmatizzando… Fringuelli dalla chiacchiera facile, sui quali invocare il dono dell’intelligenza, nello stesso modo in cui invochiamo coraggio e zelo sui pochi intelligenti rimasti.
Era la fine dell’VIII secolo quando, volendo mettere in piedi un nuovo impero, stavolta cristiano e non più pagano, Carlo Magno ricordò cosa volesse dire Europa. Un concetto culturale e morale e non geografico. Tra le caratteristiche che la connotavano c’erano le radici giudaico cristiane. Poi venne il 2003 quando, prima di firmare la Carta della Costituzione europea, si volle bandire ad ogni costo la citazione delle sue radici. Oggi è l’esperienza a mostrarci il peso di quella cancellazione. Una terra senza più Betlemme, dove Gesù muore nei fatti, prima ancora che nei documenti.