Si può organizzare la speranza?
Risposte alla povertà, da don Ivo Silingardi all’Emporio Cinquepani.
di Luigi Lamma
Un crocevia di fatti in queste ultime settimane sollecita alcune riflessioni su un tema che da sempre accompagna la presenza dei cristiani nella società e le loro risposte alle situazioni di povertà e fragilità. Andiamo con ordine. “Voglio una chiesa povera e per i poveri”. Lo ha detto all’inizio e continua a ripeterlo ormai da otto anni, con varie accentuazioni e nelle diverse situazioni, ma il filo rosso di continuità nel pontificato di Francesco è proprio questo. Anche nell’omelia per la Giornata Mondiale dei Poveri (14 novembre) il Papa incalza, non retrocede di un millimetro su questo punto, provoca con i gesti e con le parole un popolo di Dio un po’ testardo e in parte ribelle (i restaurazionisti), che è chiamato a guidare in questo tempo di intemperie per il mondo e per la barca di Pietro.
Povertà e disperazione vanno a braccetto, c’è disperazione (e tanto smarrimento) anche dove non c’è un’evidente povertà materiale. Il mandato ora è duplice “nutrire la speranza di domani risanando il dolore di oggi”, due aspetti collegati, ribadisce Francesco, perché “se tu non vai avanti risanando i dolori di oggi difficilmente avrai la speranza di domani” (quale migliore motivazione per partecipare con generosità alla Colletta Alimentare di sabato 27 novembre). Il Papa propone allora di “organizzare la speranza” perché “questa è una dinamica che oggi ci chiede la Chiesa”. Ecco un altro passaggio, non immediato e scontato, che merita una rifl essione. Come è possibile, oggi, “organizzare la speranza”? “Non ci si deve limitare a sperare, ma bisogna organizzare la speranza”: era quanto indicava il vescovo don Tonino Bello, che Francesco cita quale esempio per sollecitare “scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune”, senza i quali “le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita, le loro attese non potranno rifiorire.
A noi, specialmente a noi cristiani, tocca organizzare la speranza… tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico”. In tempo di cammino sinodale su queste parole è richiesto un bell’esame di coscienza personale ed ecclesiale, chiesa di Carpi, parrocchia di…, associazione… Che si fa? ‘Si continua a dare una moneta’ o ‘si organizza la speranza’? Qui si innesta un possibile riferimento all’esperienza di don Ivo Silingardi, a cui è stata dedicata una bella mostra a Carpi. Anche negli anni ‘50-‘60, quando il sacerdote carpigiano avviò le sue proposte di formazione professionale erano presenti fasce di popolazione indigente da soccorrere per soddisfare i bisogni primari: cibo, casa, istruzione…. Ma don Ivo, e con lui don Vincenzo Benatti sempre nel campo della professionalizzazione dei giovani, o don Nino Levratti nel campo dell’educazione e della cultura, scelsero di ‘organizzare la speranza’.
E’ evidente che qui si alza il livello delle responsabilità per la Chiesa prima di tutto ma anche per tutte le Istituzioni sociali e politiche che proprio in questo momento hanno il compito straordinario di utilizzare le ingenti risorse (PNRR) messe a disposizione per una rapida ripresa post-pandemia. Distribuire bonus e sussidi o creare nuove condizioni per un mercato del lavoro più flessibile e aperto all’ingresso di giovani, donne/mamme e persone svantaggiate? Farsi carico di affitti e utenze o battersi per una maggiore disponibilità di case popolari? Continuare a sostenere ‘l’economia dello scarto’ o promuovere altre forme più etiche e sostenibili anche da un punto di vista della tutela del creato?
Solo pochi mesi fa la Chiesa di Carpi, con un percorso condiviso da uffici pastorali e associazioni, e con il sostegno delle Istituzioni locali, ha dato vita ad un’esperienza innovativa, ancora in fase sperimentale, l’Emporio Cinquepani, che si muove nell’ottica di affiancare alle proposte esclusivamente ‘solidali’ (le sportine della spesa, i sussidi economici, ecc…) un modello ‘partecipativo’, più capace di tradurre in pratica un ideale di fraternità ed avviare un’esperienza di economia circolare. E’ un piccolo segno ma occorre insistere per generare altre opportunità, per ‘organizzare la speranza’ nel solco di una peculiare fantasia dello Spirito nel mettere in opera la carità che connota la chiesa carpigiana.