A febbraio il 13° Presidente della Repubblica italiana tra giochi, giochini e giochetti
Il prossimo mese di febbraio ci regalerà il tredicesimo presidente della Repubblica italiana. La smorfia napoletana associa questo numero alla figura di Sant’Antonio abate. Quello che la devozione popolare è solita rappresentare attorniato da animali domestici. Sappiamo, in realtà, che i padri del deserto, più che attorniati da mansuete creature, furono dei combattenti contro gli animali interiori dell’uomo, ossia quelle inclinazioni che spesso lo rendono peggiore del peggio che a volte ci consegna il mondo zoologico. Un problema vecchio come Adamo ed Eva, anzi come i loro figli, visto il triste destino di Abele nelle grinfie di suo fratello.
Oggi i problemi sono complessi e diversi, ma proprio per questo domandano “domatori” capaci di gestirli con saggezza e lungimiranza. Si inserisce in questo scenario il toto nomine, che cerca figure di spicco da gettare sul piatto della competizione. A volte si tratta di nomi… civetta, come le auto civetta della polizia, quelle senza insegne particolari, finalizzate solo ad avere un maggior della situazione. Altre volte si buttano in pasto al pubblico candidature da bruciare, come succede a chi entra in conclave Papa e ne esce cardinale. Ma a volte ci scappa l’intervista a chi avrebbe le carte in regola per scalare la vetta e ti ritrovi a pensare che spesso i migliori vivono defilati in un dignitoso silenzio.
Nei giorni scorsi mi è capitata tra le mani un’intervista a Marcello Pera. Filosofo, docente universitario e presidente del Senato dal 2001 al 2006. Nel borsino del toto presidente viene accreditato come una carta pesante da giocare nel caso lo scenario dovesse complicarsi. Ma lui elegantemente prende le distanze. Alla richiesta di parlare di Quirinale, ha risposto che il tempo preferisce impiegarlo negli studi su Sant’Agostino. Figura storica della Chiesa che lo ha sempre affascinato e che lo accomuna ad identica passione di Benedetto XVI, con cui tempo fa ha scritto un libro di enorme spessore.
Pera, come tutti gli uomini di intelligenza superiore e di profonda cultura, usa poche parole e quando si esprime sono parole che lasciano il segno, obbligando a riflettere. A chi gli ha dato del conservatore, ha replicato che «conservatore è colui che si affida alla tradizione cui appartiene, la quale gli fornisce una identità e un’agenda di problemi da risolvere di volta in volta. Il conservatore può essere anche un riformista radicale, ma non un rivoluzionario. Perché il conservatore è realista, il rivoluzionario un utopista». In definitiva si va avanti solo se non si distrugge quello che sta dietro.
Richiesto di un parere sulle teorie Lgbtq, è stato caustico nella risposta. «La teoria del genere non è un capitolo della storia dei diritti dell’uomo, ma della storia della lotta al cristianesimo ». Nei giorni scorsi su twitter un gruppo di preti ha scritto al Papa per esprimere tutto il loro disappunto per la bocciatura del Ddl Zan. Forse a questi fratelli bisognerebbe spiegare, con Pera, che il problema non è la tutela delle minoranze, ma quell’inciso dell’art. 1 del disegno di legge dove si dice che la sessualità si definisce per anagrafe, a prescindere dal cambio di sesso. Affermazione figlia di un’ideologia che serpeggia da tempo e che non riconosce più il valore della natura, visione tipicamente cristiana, affidandosi piuttosto alla ragione e alla cultura del tempo, come unico criterio sociale e legislativo.
Ma più sferzante ancora Marcello Pera si rivela quando gli si chiede se sia tornato il fascismo. «Non c’è più il fascismo e abbiamo la prova che non è rinato. Se lo fosse, i nostri intellettuali già sarebbero fascisti. Esattamente come l’altra volta, un secolo fa». Non propriamente un atto di stima. Certamente un atto di coraggiosa libertà.