Intervista a Don Xavier: “Quanta strada ho fatto con voi!”
#DONAREVALEQUANTOFARE. Dalla Diocesi di Cochin in India a quella di Carpi: don Xavier Kannattu, oggi parroco di Limidi, e il suo ministero per la nostra gente.
di Virginia Panzani
Ordinato sacerdote nel 2010 e incardinato nella Diocesi di Carpi dall’ottobre 2019, don Xavier Kannattu è oggi pastore della parrocchia di San Pietro in Vincoli a Limidi di Soliera. Ha svolto servizio, già da seminarista e poi come vicario parrocchiale in San Giuseppe Artigiano a Carpi – al fianco dell’indimenticato parroco don Lino Galavotti -, in seguito per sei anni come parroco a Gargallo, fino all’insediamento nel marzo 2020, in piena emergenza da covid-19, a Limidi.
Don Xavier, com’è avvenuto il tuo trasferimento dalla Diocesi di Kochi (Cochin) in Kerala, nel sudovest dell’India, di cui sei originario?
Sono arrivato in Italia nel 2006 insieme ad Anand Nikarthil – oggi parroco di Fossoli e Budrione-Migliarina, ndr – come seminarista. Questo è avvenuto grazie alle conoscenze che sono nate tra la diocesi di Carpi e quella di Cochin attraverso i sacerdoti studenti a Roma don Marian Arackal e don Augustine Kadeparambil che, durante le vacanze, venivano a fare servizio nel Duomo di Carpi.
In seguito ci sono stati incontri tra il vescovo di Cochin, monsignor John Thattumkal, e l’allora vicario generale e oggi vescovo, monsignor Joseph Kariyil, e il vescovo di Carpi, monsignor Elio Tinti, e il vicario generale, monsignor Douglas Regattieri. Da questi incontri è nato il progetto di mandare due seminaristi dall’India per studiare nel Seminario di Carpi con la prospettiva di qualche anno di servizio una volta completati gli studi.
La tua formazione in vista del sacerdozio si è svolta per buona parte qui da noi. Com’è stato per te inserirti in una realtà completamente nuova, a partire dalla lingua che hai imparato con grande impegno, ma anche la lontananza dal tuo Paese, la vita in Seminario, il modo di essere Chiesa con le sue peculiarità rispetto alla comunità cattolica del Kerala?
Ho frequentato il Seminario minore a Cochin fino all’Università e poi due anni di filosofia nel Seminario nazionale di Pune. Finita la filosofia, mentre stavo facendo un anno di esperienza pastorale, è arrivata la proposta di andare in Italia per la teologia. Venire a Carpi è stata sicuramente una delle cose più impegnative e arricchenti della mia vita. Non posso dimenticare l’impatto iniziale, l’inserimento graduale, varie difficoltà, le differenze, ecc. che hanno segnato i primi anni e non solo.
Questo mi ha spinto a fare tante domande e pian piano a comprendere e approfondire il senso di tante cose fatte e vissute in modi diversi in questi due Paesi. Il confronto aperto e sincero tra due culture, chiese, lingue e società mi ha aiutato col tempo a vedere la bellezza e la bontà di ognuno senza negare o nascondere le diversità.
A parte il periodo in San Giuseppe Artigiano, sei stato finora e sei pastore di parrocchie di non grandi dimensioni, per così dire, di periferia. Come sei stato accolto da queste comunità? E’ vero, come dice Papa Francesco, che “la realtà si capisce meglio dalle periferie” piuttosto che dal centro?
Fare il parroco in una piccola comunità come Gargallo mi ha aiutato a scoprire l’importanza della parrocchia nella vita e nel cammino di fede delle per- sone. Le parrocchie sono luoghi vitali dove si nasce, si cresce e si vive come fratelli insieme agli altri, che formano la grande famiglia di Dio che è la Chiesa.
Vivere in una piccola realtà mi ha permesso di conoscere da vicino e fare un pezzo di strada con molte persone. Ogni parrocchia è fatta da tanti, ciascuno con un nome e un volto, un sogno e una storia, un tesoro custodito in un vaso di creta a volta fragile. In questo periodo di grandi turbolenze e cambiamenti, sono proprio le piccole realtà che pagano un prezzo alto. Mi auguro che il percorso sinodale che si sta avviando in tutta la Chiesa ci aiuti a mettere al centro dell’attenzione le periferie. Come diceva Gandhi, il vero rinnovamento e progresso devono partire dagli ultimi.
Che cosa ti ha insegnato il Signore, in questi undici anni di ministero sacerdotale, attraverso le persone che hai incontrato nella nostra Diocesi? Quale testimonianza di fede? C’è qualcuno che ti è stato particolarmente vicino e che desideri ricordare?
La mia vita è fatta di tanti piccoli e grandi pezzi che ho raccolto o mi sono stati donati da ogni persona che ho incontrato e, grazie a ciascuno di loro, sono quello che sono. Non posso nominare tutti, ma ricordo solo alcuni senza dimenticare gli altri. Monsignor Douglas Regattieri che mi ha accompagnato durante gli anni di Seminario, con grande affetto e disponibilità, fino al mio ingresso nella parrocchia di San Giuseppe.
Qui ho conosciuto don Lino Galavotti, un grande pastore e uomo di Dio, che ha segnato profondamente la mia vita sacerdotale. Il Vescovo emerito monsignor Francesco Cavina che con la sua stima e fiducia nella mia persona e la sua vicinanza e sostegno mi ha accompagnato nel mio ministero. Don Anand con cui ho condiviso tutta questa strada. Non posso dimenticare i confratelli sacerdoti, le parrocchie, le associazioni e le varie realtà ecclesiali con cui ho camminato in questi anni. Tutte queste persone mi ricordano che il Vangelo passa meglio all’interno di una relazione personale.
Don Xavier, oggi tu hai 38 anni, quindi sei un uomo e un sacerdote giovane, con tanta strada davanti a te da percorrere. Come guardi al tuo futuro, in un momento generale di grande incertezza, da tutti i punti di vista – non solo per il covid-19 -, in cui non è facile trovare segnali di speranza, anche da parte di chi si professa cristiano?
Il momento attuale non è facile per nessuno. Anche la vita della Chiesa e delle parrocchie ha subito gravi danni. Eppure, in questo periodo, ho visto tanti segni di speranza, a partire dalla mia parrocchia, quella di Limidi, una bella comunità con tanta vitalità. Abbiamo un laicato molto forte e partecipe della vita e della missione della Chiesa. Una grande parte delle attività pastorali è svolta con e all’interno delle associazioni.
In questo cambiamento di epoca come ci ricorda Papa Francesco, quello che avremo domani è quello che costruiamo oggi. Ogni scelta, ogni progetto e ogni iniziativa formerà il nostro futuro. Ciò che cerchiamo è sognare e lavorare per una Chiesa che è aperta e attenta alle persone e alle esigenze del nostro tempo. Gli orientamenti del Sinodo – comunione, partecipazione e missione – sono indicazioni su cui costruiamo il nostro percorso comunitario. Il futuro è nelle mani di Dio e non è solo frutto del nostro lavoro. Se quello che desideriamo, chiediamo e cerchiamo di costruire corrisponde a quello che il Signore vuole donarci, non dobbiamo avere paura. Il suo aiuto non ci mancherà!