Risurrezione
Entrare in uno spazio misterioso e reale di una fedeltà personale che non finisce, ma è rilanciata dalla creatività di Dio.
di Luca Baraldi
I nativi, che da tempi immemorabili vivono nella regione Tlicho – fra lagni, foreste di sempreverdi e colline di granito – credono che gli spiriti di coloro che ci hanno lasciati attendano ogni venerdì, seduti sulla piccola palizzata delle tombe dei loro resti mortali, la visita e la compagnia dei loro congiunti o di qualche amico.
Questa credenza per noi occidentali può sembrare piuttosto strana, forse persino macabra per qualcuno, eppure ci aiuta a capire qualcosa del mistero gioioso della risurrezione. In effetti, rileggendo le pagine dei vangeli sinottici e di Giovanni, si trova un elemento comune con quanto si tramandano le persone quassù: il mattino di Pasqua è anzitutto incontro in un luogo di desolazione che annuncia un futuro di consolazione, grazie alla possibilità di coltivare ancora un’amicizia che si pensava finita. In fondo, credo, si potrebbe dire in altri termini: risorgere significa entrare un uno spazio, misterioso e reale, di una fedeltà personale che non finisce, ma è rilanciata dalla creatività di Dio.
Così, partendo dalla tradizione indigena, ci è offerta l’opportunità di celebrare il ricordo annuale dei santi e dei defunti in una prospettiva concretissima, che diviene persino interrogativo: sai gustare a pieno la gioia della fedeltà di Dio e dei suoi figli e figlie? Sai coltivarla come giardino nel quale cogliere frutti sempre nuovi e freschi per alimentare la tua umanità?
Dalla finestra dalla quale scrivo, nella comunità di Whati, vedo il piccolo cimitero del villaggio, proprio sulla riva del lago La Martre. È venerdì, e credo che il Signore mi abbia, ci abbia, organizzato un nuovo appuntamento per incontrarlo e essere ancora vicini.