Amerai il tuo prossimo come te stesso
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 31 Ottobre 2021
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28b-34)
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: ‘Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza’. Il secondo è questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Commento
Il brano del vangelo di questa domenica è ambientato a Gerusalemme, durante il ministero di Gesù negli ultimi giorni della sua vita. Nel capitolo 12 di Marco si presentano a Gesù con questioni spinose e provocatorie prima i farisei e gli erodiani, poi i sadducei e infine nel brano di oggi uno scriba, che però è l’unico a proporre una domanda sincera e non con un doppio fine (il versetto 28 specifica che aveva sentito le risposte che aveva dato agli altri e gli erano sembrate convincenti).
La domanda è quale sia il primo di tutti i comandamenti, cioè quale possa essere un principio sintetico di tutta la Legge. Gesù risponde rifacendosi all’insegnamento tradizionale di Mosè e indicando non un principio ma due. Il primo è tratto dallo Shemà, la preghiera che gli ebrei recitano tutti i giorni, tratta dal libro del Deuteronomio (Dt 6,4-5), che invita ad amare Dio con tutto se stessi.
Il secondo è la legge dell’amore al prossimo tratta dal Levitico (Lv 19,18). L’interlocutore, ed è la prima volta nel vangelo, dà ragione a Gesù (normalmente avviene il contrario, è Gesù che conferma le risposte degli altri) e accenna all’unicità di Dio, specificando che non c’è spazio per il politeismo nella religione di Israele.
Inoltre aggiunge che l’amore di Dio e del prossimo vale di più di tutti gli olocausti e i sacrifici, con un riferimento implicito a Osea 6,6 “poiché io voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti” (si noti che questo testo di Osea è spesso citato da Gesù). Gesù riconosce a sua volta una retta comprensione nello scriba e infatti lo dichiara non lontano dal regno di Dio, senza però dire che vi è già entrato. Cosa gli manca per entrare? Probabilmente il fatto di vivere in pratica ciò che ha capito ed anche aprirsi alla fede in Cristo, cioè il passo fondamentale della sequela.
Proviamo a riflettere sulla risposta di Gesù. Gesù parte da insegnamenti tradizionali e dunque rimane nel solco della tradizione: l’amore a Dio era nell’opinione di tutti un imprescindibile comandamento e l’amore al prossimo era pure sentito come importante, anche se il prossimo era perlopiù inteso come membro di Israele. La vera novità di Gesù è di aver unito i due comandamenti e di averli presentati come aspetti di un’unica realtà.
Sullo sfondo intuiamo l’esperienza di Gesù: il suo amore verso Padre e la sua donazione agli uomini. Mettere al centro l’amore vuol dire che l’uomo è fondamentalmente un essere in relazione e non è niente se non si apre a Dio e ai fratelli. Non solo a Dio o solo ai fratelli, la totalità dell’uomo richiede che tutto stia insieme. Allora la vita dell’uomo non è mai concepibile sen- za l’altro, l’altro come uomo “fratello” e l’Altro trascendente cioè Dio.
Il grande teologo del novecento Von Balthasar ha scritto un piccolo libretto che s’intitola Solo l’amore è credibile. Egli afferma che il “cuore (dell’uomo) giunge a comprendere se stesso soltanto quando ha scorto quell’amore che il cuore divino prova per lui sino a giungere a morire per noi, trafitto sulla croce… Dio, alterità assoluta da noi, si manifesta nell’altro, nel ‘sacramento del fratello’”.
L’amore allora è aprirsi all’ascolto del Padre e insieme rispondere a un Dio che non vuole solo essere creduto e obbedito ma amato con tutto ciò che siamo: con l’intelligenza e la ragione, l’emozione e l’affetto, l’azione e il progetto. In sostanza con tutto ciò che l’uomo è, comprese le profondità insondabili che nemmeno lui conosce. La tradizione cristiana è ricca di santi che hanno vissuto fino in fondo l’amore e ne hanno scritto con gli accenti del desiderio e della passione. Ascoltiamo un famoso testo di Sant’Agostino.
“Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me e io stavo fuori, e lì ti cercavo gettandomi, deforme, sulle belle forme delle creature fatte da te…. Tu mi hai chiamato, hai gridato, hai vinto la mia sordità. Tu hai balenato, hai sfolgorato, hai dissipato la mia cecità. Hai diffuso il tuo profumo, io l’ho respirato e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo del desiderio della tua pace” (Confessioni, X, 27).
Amerai il Signore: nel Nuovo Testamento si parla spesso di credere, conoscere e obbedire a Dio, più raramente di amarlo (vedi Lc 11,42; Rm 8,28; 1Cor 2,9; 8,3; 16,22; Ef 6,24; 1Gv 4,20-21).
Due comandamenti: l’associazione dei due comandamenti di Dt 6,5 e Lv 19,18 non si trova altrove nell’Antico Testamento e in scritti ebraici antichi; è invece presente nel giudaismo ellenistico. Ad esempio, nei Testamenti dei dodici patriarchi leggiamo: «custodite quindi figli miei la legge di Dio… amate il Signore e il vostro prossimo e abbiate pietà degli indigenti e dei deboli».