«Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita»
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 17 Ottobre 2021
Dal Vangelo secondo Marco (10,35-45)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete (…). Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore (…). Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Commento
Il Vangelo di questa domenica segue il terzo annuncio della passione nel viaggio verso Gerusalemme (Mc 10,33-34). Anche in questo caso dopo l’annuncio i discepoli dimostrano di non avere compreso le parole di Gesù. Infatti, Giacomo e Giovanni, pensando che finalmente a Gerusalemme Gesù avrebbe realizzato defi nitivamente il regno di Dio (questo il senso di «nella tua gloria») chiedono dei posti di privilegio, avendo forse in mente le tipiche immagini bibliche che indicavano i tempi della venuta del Signore: il banchetto messianico o la sala del trono celeste (vedi Apocalisse 4-5).
I testi ritrovati a Qumran presso il Mar Morto, descrivono una comunità religiosa con ruoli rigidamente definiti che si riflettevano anche sui posti nei pranzi comunitari. Tutto questo anticipava il futuro banchetto messianico nel quale posizione e onore erano ancora elementi importanti. Comprendiamo dunque lo sfondo sul quale la domanda degli apostoli poteva essere sensata, una visione religiosa in cui ancora ruoli e posizioni erano importanti. Probabilmente nel vangelo di oggi non è in gioco il fraintendimento del regno come un effettivo regnare sull’Israele terreno. Tuttavia i discepoli mostrano di avere ancora una mentalità molto umana e non hanno ancora accolto l’ottica del servizio e dell’umiltà di cui parla Gesù.
Abbiamo trovato alcune domeniche fa i discepoli che discutevano su chi fosse tra loro il più grande e questo conferma che il tema dei primi posti era importante per l’evangelista. Certamente le prime comunità cristiane si erano già accorte che il desiderio di primeggiare era un pericolo per i singoli e per la vita della chiesa. Gesù reagisce alla richiesta usando termini che possono essere fraintesi: riferendosi al calice e al battesimo parla in maniera enigmatica del suo futuro di sofferenza che sarà anche il futuro che è riservato ai suoi discepoli. In questo senso anche loro berranno lo stesso calice di Gesù e saranno battezzati nello stesso suo battesimo cioè, come vuole la tradizione, il martirio per la fede.
Gli altri apostoli sentendo il discorso si scandalizzano, non si capisce se perché criticano i due fratelli o perché anche loro ritengono di meritare qualche posizione di privilegio. Allora Gesù li raduna tutti e ripete pazientemente il suo insegnamento allontanandosi decisamente dalle tematiche sulla fine dei tempi e riportando l’attenzione sulla terra, nella vita della comunità. Prima cita un aspetto della vita civile, il potere com’è vissuto dai governanti, con un probabile riferimento al dominio imperiale, e lo critica per il suo stile oppressivo. Poi passa alla comunità cristiana, dove deve regnare il servizio: «tra voi non è così».
Sorprende l’insistenza del vangelo sul tema del servizio e soprattutto sulla difficoltà di comprensione dei discepoli; in realtà tutto questo segnala un nodo cruciale dell’esistenza del credente. A ben vedere questo racconto, partendo dal desiderio di primeggiare, molto diffuso nella realtà, ci riporta al centro della vita cristiana, alla conversione del cuore, lì dove un uomo riesce a uscire dal proprio egoismo e a rimanere aperto agli altri. I discepoli vivranno questo cambiamento solo quando vedranno morire in croce Gesù e poi lo riconosceranno risorto.
Il fatto che Gesù abbia sacrificato la vita per loro darà loro la forza di fare altrettanto in una donazione che arriverà anche al martirio. Non c’è parola o ragionamento che ci possa convincere a trascendere noi stessi nel dono agli altri, solo l’aver sperimentato l’amore gratuito verso di noi rompe le nostre corazze e la nostra paura di perderci. Gesù ha dato «la propria vita in riscatto per molti» diventando per noi la fonte di un desiderio vitale di uscire da sé per mettersi al servizio degli altri. Con il suo amore Gesù ci libera dalla schiavitù di sentirci costretti a costruire per noi una vita di successi e primi posti e ci apre alla fantasia di spendere i nostri talenti in tutti i modi possibili al servizio degli altri.
Riscatto: la parola riscatto, in greco lytron, fa riferimento all’ebraico kofer che indica il riscatto che si deve pagare per ottenere una liberazione o evitare la pena di morte. Era pagato da un intermediario innocente generoso, parente o amico.
Le parole del potere: per esprimere l’esercizio del potere Marco usa i verbi archein (governare) e katakyrieuousin (dominare) che descrivono bene il potere imperiale dominante. Notiano anche megaloi, alla lettera “i grandi”, per indicare i capi e il verbo katexousiazousin per indicare l’esercizio dell’autorità.