L’opera del “divisore”
Papa Francesco, durante il suo viaggio in Slovacchia, nell’omelia del 14 settembre ha detto: “Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale”. Queste parole mi hanno ricordato il discorso del Card. Raniero Cantalamessa, pronunciato lo scorso venerdì santo, nella basilica di San Pietro. Un discorso straordinario: per la circostanza, per il luogo in cui è stato pronunciato, per la presenza del Papa e di molti cardinali e per l’autorevolezza dell’oratore. In quella occasione, vestendo l’umile saio francescano, senza gli abiti cardinalizi, ha chiesto ai pastori lì presenti di fare un serio esame di coscienza sul ruolo che essi hanno, o possono avere, nell’alimentare le divisioni all’interno della Chiesa.
Ha esordito citando l’enciclica Fratelli tutti. “Tutti gli esseri umani sono fratelli in quanto creature dello stesso Dio e Padre. A ciò la fede cristiana aggiunge una seconda decisiva ragione. Siamo fratelli non solo a titolo di creazione, ma anche di redenzione; non solo perché abbiamo tutti lo stesso Padre, ma perché abbiamo tutti lo stesso fratello, Cristo, primogenito tra molti fratelli”. Poi, è entrato subito nel vivo della questione. “Alla luce di tutto questo, dobbiamo ora fare alcune riflessioni attuali.
La fraternità si costruisce cominciando da vicino, da noi, non con grandi schemi, con traguardi ambiziosi e astratti. Questo significa che la fraternità universale comincia, per noi, con la fraternità nella Chiesa Cattolica. Lascio da parte, per una volta, anche il secondo cerchio che è la fraternità tra tutti i credenti in Cristo, cioè l’ecumenismo. La fraternità cattolica è ferita! La tunica di Cristo è stata fatta a pezzi dalle divisioni tra le Chiese; ma – quel che non è meno grave – ogni pezzo della tunica è spesso diviso, a sua volta, in altri pezzi. Parlo naturalmente dell’elemento umano di essa, perché la vera tunica di Cristo, il suo corpo mistico animato dallo Spirito Santo, nessuno la potrà mai lacerare. Agli occhi di Dio, la Chiesa è “una, santa cattolica e apostolica”, e tale rimarrà fino alla fine del mondo. Questo, tuttavia, non scusa le nostre divisioni, ma le rende più colpevoli e deve spingerci con più forza a risanarle”.
A questo punto si chiede quale sia la causa più comune delle divisioni tra i cattolici; e risponde: “Non è il dogma, non sono i sacramenti e i ministeri: tutte cose che per singolare grazia di Dio custodiamo integri e unanimi. È l’opzione politica, quando essa prende il sopravvento su quella religiosa ed ecclesiale e sposa una ideologia, dimenticando completamente il valore e il dovere dell’obbedienza nella Chiesa. È questo, in certe parti del mondo, il vero fattore di divisione, anche se taciuto o sdegnosamente negato. Questo è un peccato, nel senso più stretto del termine. Vuole dire che “il regno di questo mondo” è diventato più importante, nel proprio cuore, che non il Regno di Dio”.
Non poteva essere più chiaro, sia nell’indicare la vera causa, sia nel mostrarne la gravità. Da qui, l’esortazione, fraterna ma non meno forte: “Credo che siamo chiamati tutti a fare su ciò un serio esame di coscienza e a convertirci. Questa è per eccellenza l’opera di colui il cui nome è “diabolos”, cioè il divisore, il nemico che semina zizzania, come lo definisce Gesú nella sua parabola (cf. Mt 13, 25). “Dobbiamo imparare dal Vangelo e dall’esempio di Gesú. Intorno a lui esisteva una forte polarizzazione politica. Esistevano quattro partiti: i Farisei, i Sadducei, gli Erodiani e gli Zeloti.
Gesú non si schierò con nessuno di essi e resistette energicamente al tentativo di trascinarlo da una parte o dall’altra. (…) Questo è un esempio soprattutto per i pastori che devono essere pastori di tutto il gregge, non di una sola parte di esso”. “Sono essi, perciò, i primi a dover fare un serio esame di coscienza – prosegue il predicatore della Casa Pontificia – e chiedersi dove stanno portando il proprio gregge: se dalla propria parte o dalla parte di Gesù”. Per il cristiano, la croce non può essere un simbolo politico, ma deve esprimere unicamente il desiderio di seguire Cristo.