Guardare agli scandali senza diventare farisei o giudici senza pietà
Ci sono notizie che, solo a raccontarle, causano dolore. Per la vergogna e per il dispiacere. Che poi sono le due facce della stessa medaglia. Una più legata all’orgoglio, la seconda al senso di appartenenza, come quando in famiglia succede qualcosa di grave e ti verrebbe voglia di cambiar cognome e andare a vivere lontano. La cronaca di questi giorni ci consegna una vicenda dolorosissima.
A Prato è stato arrestato, insieme al suo compagno, un giovane parroco quarantenne. Le accuse sono pesantissime. Acquisto e spaccio di droga. Nientemeno che quella dello stupro, così detta perché usata per annullare la resistenza delle persone cui si vuole fare violenza. A questo si aggiunge l’appropriazione indebita, per aver sottratto centinaia di migliaia di euro alla parrocchia. E infine, tanto per non farsi mancare nulla, è accusato anche di tentate lesioni gravissime. Si è scoperto che pur essendo sieropositivo non avrebbe mai avvisato i facoltosi partner occasionali con cui si accompagnava.
Un bel quadro, davanti al quale verrebbe la voglia di dire: apriamo il secchio della spazzatura e poi dritti al cassonetto. Stendo queste note e penso che il disagio che provo io sia lo stesso del lettore. Com’è possibile arrivare tanto? Scandalo legittimo che fa venire la tentazione di prendere le distanze dalla Chiesa per mettersi inconsciamente dall’altra parte, quella dei giusti. È una tentazione ricorrente nel nostro tempo, anche perché i media sembrano fare a gara per raccontarci le miserie che vengono a galla. Mai che ti raccontino la foresta che cresce silenziosa, con le fatiche e la santità di tanti credenti umili e nascosti.
In realtà la Chiesa è anche questo, quella descritta da Gesù quando, con lucido disincanto, l’ha paragonata a un campo dove zizzania e grano crescono in simultanea. Il Maligno ha fatto questo, dice il Signore, mettendoci in guardia dalla seduzione di un mondo che rischia di trascinarci nei vortici delle sue spire. E mentre a tutti è chiesto il dono della vigilanza, non di meno ci è chiesto di fare nostro il mistero della compassione, soprattutto orante, pensando come anche il male possa impadronirsi delle fragili menti malate di uomini di Chiesa. Creature malate, che un dio minuscolo, sia esso sesso o droga, ha finito per schiavizzare, trasformandole in maschere grottesche, come marionette in balia di un puparo.
È importante leggere questi dolorosi fenomeni con gli occhiali che le scienze moderne ci consegnano. Quelli della psicologia e più spesso della psichiatria. Ina dispensabili per evitare il rischio di condanne sommarie, quelle che chiudono le porte della speranza (li mettano in galera e buttino via le chiavi!), mentre si aprono quelle del nostro inconscio fariseismo (ti ringrazio, Signore, che non sono come loro).
Oltretutto davanti a questi episodi si coglie più facilmente anche tanto clericalismo applicato alla morale. Fa scandalo un prete che sbaglia, ed è giusto che sia, ma non fa alcuno scandalo, oppure è considerato fenomeno di costume, quando un battezzato, sposo e padre di famiglia, o sposa e madre, si lasciano andare al peggio che si possa immaginare.
Di fronte alle fragilità in ambito sessuale, c’è poi un ritornello che torna ogni volta come un mantra per dare soluzione ai problemi. Ma perché i preti non si sposano? Lasciando intendere che sia il celibato la causa di ogni nefandezza. Perdendo così di vista il valore di un servizio, che ha bisogno della fede, più che di sesso. Mi piace ricordare, in proposito, le parole di un santo, Carlo De Foucauld: “Quando si ama uno con tutto il proprio cuore, la compagnia di questi, non soltanto basta, ma ogni altra è di troppo”.