C’è fame di cibo ma anche di prossimità
Diverse proposte di contrasto alla povertà ai tempi della pandemia
di Irene Ciambezi
Le ferite aperte dalla pandemia sono sempre più evidenti nelle nostre città e nelle nostre case. Secondo i recenti dati Istat sul 2020, in Italia ci sono oltre 5,6 milioni di persone in situazione di bisogno, di cui un milione di “nuovi poveri”. Per contrastare questa povertà materiale, di chi ha perso il lavoro, di chi deve affrontare uno sfratto, di chi è rimasto senza familiari e stenta ad avere i soldi per fare la spesa, si sono moltiplicati gli interventi a favore delle famiglie più in difficoltà che sono principalmente, sempre secondo l’Istat, quelle con minori a carico di età compresa tra i 7 e i 13 anni e tra i 14 – 17 anni.
Alcune esperienze virtuose sono già in atto anche nel nostro territorio. Gli Empori si stanno sviluppando in diverse diocesi italiane, come nella nostra l’emporio “Cinquepani” realizzato in forma originale perché partecipativo grazie a Fondazione Odoardo e Maria Focherini e Caritas Diocesana per rispondere non solo ai bisogni alimentari ma all’urgenza di maggiore inclusione di chi è in difficoltà, basandosi anche su quella economia circolare che coinvolge tutti e sviluppa iniziative di fraternità e scelte di consumo critico e responsabile.
L’iniziativa Un Pasto al Giorno promossa, a partire da fine settembre, dalla Comunità Papa Giovanni XXIII nelle parrocchie di tutta Italia (pag. 20) propone di fare un gesto concreto a sostegno di chi non ha da mangiare almeno una volta al giorno oppure così sole e isolate da aver bisogno di una famiglia, di una casa sicura, di supporto quotidiano per ricostruirsi un futuro. E accanto a questa raccolta fondi a favore delle tante persone assistite dalla comunità di don Benzi, viene offerta anche la disponibilità a far visita alle case famiglie e le altre strutture di accoglienza oltre che a coinvolgersi nei servizi d’incontro del povero in strada.
Tuttavia la pandemia ha generato nuove povertà, tra cui emergono le fragilità psichiche, stati d’ansia e depressivi di giovani e adolescenti troppo a lungo rinchiusi in un mondo virtuale dentro le mura domestiche. Ma anche disturbi post-traumatico da stress di lavoratori e lavoratrici insospettabili, madri e padri, incapaci di riorganizzare la vita familiare e modificare i propri schemi. La quotidianità delle nostre comunità non sarà più come prima della pandemia ed oggi più che mai “nuovi poveri” sono le tante persone che molto spesso non chiedono aiuto per vergogna e perché isolate. Eppure hanno necessità di supporto per la salute mentale e anche di relazioni significative, di ascolto, di prossimità e gruppalità, segno di una Chiesa viva che riparte.
Il vero contrasto alle nuove povertà è dunque reinventare una prossimità quotidiana e costante che ridia speranza e accompagni passo passo – anche con percorsi a lungo termine – chi non vede la fine del tunnel. Papa Francesco già nella lettera per la V Giornata mondiale dei poveri di novembre, pubblicata lo scorso giugno, aveva sot- tolineato infatti come “I poveri non sono persone ‘esterne’ alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza […] perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. L’elemosina, è occasionale; la condivisione invece è duratura”. E rispetto alle nuove povertà, lancia un invito ad essere lungimiranti, nell’ascolto delle fragilità ma anche nel riscoprire le potenzialità di ognuno:
“Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso degli incompetenti. La povertà dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona”.
Oltre ad una fame di cibo si va diffondendo una fame di ascolto e prossimità a cui a volte è più difficile rispondere perché nascosta e sconosciuta. E qui sta alla creatività delle comunità civile e ecclesiale, di associazioni e movimenti, raccogliere la sfida per contrastare in profondità le nuove povertà inventando iniziative itineranti e se necessario, uscendo dall’insidiosa paura dei contatti umani, anche porta a porta.