Senso di urgenza e di responsabilità
L’Hospice, la cura del fine vita e l’eutanasia
di Luigi Lamma
Il dibattito sull’eutanasia, rilanciato dal successo della raccolta di firme per un referendum che mira a depenalizzare l’omicidio del consenziente, aprendo di fatto all’eutanasia nel nostro Paese, oltre a porre rilevanti obiezioni sul piano etico e giuridico, ripropone con assoluta urgenza il tema della cura del fine vita o delle situazioni di patologie degenerative che tanto gravano sul vissuto delle famiglie coinvolte e sull’organizzazione dell’assistenza sanitaria. E’ evidente che la richiesta, o la pretesa, di un libero accesso all’eutanasia trova terreno fertile prima di tutto sul piano emotivo come risposta a slogan sempre di effetto nel confronto pubblico e ancor più oggi con il veicolo dei social: “liberi fino alla fine” e chi desidererebbe il contrario?
Ecco perché i nostri Vescovi, tramite la Presidenza della Conferenza episcopale italiana, hanno espresso la loro “grave inquietudine” per questa deriva che risponde ad una “concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali”. Nel ribadire che “non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire” i nostri Pastori ricordano che nella visione cristiana del fine vita “quando si avvicina il termine dell’esistenza terrena, la dignità della persona umana si precisa come diritto a morire nella maggiore serenità possibile e con la dignità umana e cristiana che le è dovuta’ (Samaritanus bonus, V, 2)”. Certo con “la dignità umana che le è dovuta” vuol dire aiutare “a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non a eliminare la propria vita. Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano”.
Come già avvenuto in passato, prima con l’interruzione di gravidanza, poi con la procreazione assistita, ora con l’eutanasia e presto con l’utero in affitto, è ben evidente che l’impegno dei cattolici non è rivolto a difendere dogmi di fede ma a preservare “l’umano” dall’ennesima sconfitta e ad assicurare ad ogni vita, in ogni istante, la dignità che le è dovuta.
C’è un secondo aspetto, messo in risalto da molti commentatori, ed è la considerazione dei fattori che possono incentivare o limitare la richiesta di eutanasia. Laddove l’organizzazione sanitaria del territorio risulta sprovvista o carente di una efficace rete di assistenza domiciliare per i pazienti terminali o di strutture come gli “hospice” e in assenza di un contesto familiare e di relazioni di supporto si afferma di conseguenza, accanto al dolore fisico, un senso di solitudine e di angoscia difficile da affrontare.
Quello che all’inizio è stato presentato come il “dibattito sull’eutanasia” si intreccia ora con disarmante concretezza con il “dibattito sull’hospice” che anima da qualche anno il territorio tra Carpi e l’Area Nord della provincia di Modena. Negli ultimi mesi a fronte di passi istituzionali ufficiali da parte dei Comuni e dell’Azienda Usl, propedeutici all’avvio dell’opera, si è registrato un approccio critico da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi che ha sollevato dubbi tecnici e di opportunità sulla scelta della sede del futuro hospice, preferendo orientare maggiori risorse verso progetti di potenziamento dei servizi di assistenza domiciliare dell’Azienda Usl.
Certo la location individuata può non entusiasmare ma forse il tempo è ormai scaduto per riavviare il processo. Allora visto che l’hospice di Carpi e Area Nord risponde ai bisogni assistenziali di questo territorio è giunto il momento che le istituzioni pubbliche (Regione, Comuni, Azienda Usl) favoriscano un’accelerazione e si assumano direttamente, di fronte ai cittadini, la responsabilità di una rapida realizzazione dell’opera. Si resta disorientati nell’apprendere di ingenti risorse pubbliche destinate ad altri progetti sul territorio, certo utili ma non urgenti, come ad esempio i 14,8 milioni per la corte di Fossoli stanziati dal Pnrr, mentre nel caso in questione una fondazione no profit si trova ora a mendicare qualche centinaia di migliaia di euro per poter dare vita ad un servizio ritenuto essenziale per la salute pubblica.
E’ un’ottima cosa la valorizzazione del terzo settore ma in questa vicenda, come si può ben comprendere, la posta in gioco è molto alta, e si chiama “dignità della persona umana e si precisa come diritto a morire nella maggiore serenità possibile e con la dignità umana e cristiana che le è dovuta”.