“Caso Saman”: la fatica dei giovani stranieri
Incontro promosso dalla Consulta per l’integrazione per riflettere sul rapporto tra religioni e tradizioni
La Consulta integrazione Unione Terre d’Argine, con il Patrocinio e la collaborazione del centro Antiviolenza Vivere Donna Aps, ricordando la tragedia di Saman Abbas, ha promosso, lo scorso 17 luglio, un incontro pubblico con Paolo Branca, docente dell’Università Cattolica di Milano. Un evento molto partecipato: circa 80 persone di tante nazionalità e fedi diverse (presenti tutte le comunità pakistane, le associazioni marocchine e tunisine, la comunità ortodossa rumena, la comunità albanese, le associazioni di volontariato che lavorano su questi temi: Udi, Cuamm, Porta Aperta, I giovani per Carpi). Una presenza importante anche da parte dell’Istituzione: presenti alcuni Assessori, Tamara Calzolari, Elisa Casarini, Annalisa Paltrinieri.
I punti su cui la Consulta ha voluto riflettere alla luce dei fatti di Novellara sono principalmente due: la violenza e la mancanza di diritti perpetrati contro una giovane diciottenne e la fatica di essere giovani stranieri di seconda generazione. Preziose a questo proposito le testimonianze di giovani di seconda generazione che hanno stimolato il dibattito proprio sulle bellezze e le difficoltà di essere persone con più identità: la ricchezza derivante dall’appartenere a più culture, ma anche le fatiche e gli scontri con le famiglie d’origine. Sono temi importanti che la Consulta vuole continuare ad affrontare soprattutto per essere più vicina a questi giovani che stanno iniziando ad interrogarsi su loro stessi e sulle loro identità.
Il professor Branca nel suo intervento ha affermato in premessa che le religioni in generale, e anche l’Islam, condannano qualsiasi crimine. Il Corano afferma che “uccidere anche solo una persona, equivale ad uccidere l’umanità intera”. Una riflessione importante da avviare, soprattutto con i giovani, in merito al cambiamento delle culture che inevitabilmente avviene e avverrà. Le priorità e le gerarchie tipiche delle società tradizionali vengono messe in discussione dai giovani e le religioni spesso sono ritenute responsabili di questo. Le Istituzioni religiose non mancano di responsabilità ma, va tenuto presente, che i costumi atavici sono ben più antichi delle religioni storiche e che affondano le proprie radici nelle stesse origini dell’umanità. La pratica del delitto d’onore, che nessuna religione prescrive, ad esempio, è ancora in uso presso molte popolazioni di diverso credo. Sul piano antropologico e culturale, inizia ad essere evidente una rottura con i modelli del passato. E’ necessario continuare a ragionare su questi temi proprio per evitare altri “casi Saman”. E’ il caso di dire che Dio è più misericordioso degli uomini, e che spesso questi ultimi peccano di ignoranza nei confronti della religione stessa, nella quale pretendono che vi siano prescrizioni che sono invece inesistenti. Un mondo sempre più connesso richiederebbe a tutti una formazione anche religiosa più approfondita, seria e matura, l’unica che può permetterci di non sbagliare strada e soprattutto di renderci migliori per noi stessi e per gli altri.