L’arte difficile della libertà nella vita di tutti i giorni e soprattutto nell’informazione
Sono sempre stato un convinto e tribolato ricercatore della libertà. Anche pagandone il conto. Mario Rigoni Stern, grande uomo e grande alpino diceva: «Ragionate con la vostra testa e imparate a dire di no; siate ribelli per giusta causa, non siate conformisti e non accodatevi al carro del vincitore ». Oggi tutti sono convinti di possedere la libertà e forse mai come oggi se ne avverte la penuria. La libertà, per essere conquistata ha il bisogno coraggioso di dirsi dei no, per non diventare anarchica celebrazione dei propri capricci.
Un libro di qualche tempo fa, Ulisse e le sirene, poneva una domanda: il grande esploratore era libero quando chiedeva di essere incatenato per non soccombere al loro canto, o quando legato, sentendole, chiedeva di essere liberato? Cioè, era libero quando la ragione gli imponeva dei limiti, o quando l’istinto reclamava di non ascoltarla, assecondando la passione? Un termometro attualissimo per misurare eventuali febbri cui potremmo andare soggetti. Ritengo che anche nella vita di un prete, l’obbedienza, da cui discende la libertà, sia più impegnativa del celibato stesso.
In quest’ultimo caso si tratta di rinunciare a farsi una famiglia, per una scelta di valore, mentre obbedire domanda di adeguare continuamente la propria volontà e le scelte conseguenti, coniugandola con superiori che cambiano, situazioni pastorali molto avvenimenti sempre differenti e spesso divergenti dal proprio modo di vedere e pensare le cose. Sono altrettanto convinto che la vera abilità di un vescovo nel farsi obbedire dipenda dalla sua capacità di trasmettere la passione coinvolgente per un progetto da portare a compimento insieme. Nessun signorsì e tantomeno teste rassegnate reclinate verso il basso. La storia delle grandi conquiste è sempre storia di passioni condivise.
Pensando alla libertà, una delle frontiere su cui oggi si gioca il futuro delle relazioni umane è senz’altro quella del mondo dell’informazione. Non è retorica rivendicarne il diritto alla libertà. Basterebbe, senza scomodare Paesi in cui i giornalisti li fanno fuori senza complimenti, pensare a quanti, anche in Italia, devono viaggiare sotto scorta per aver avuto il coraggio di dire cose scomode su personaggi, che pretendevano il silenzio sui loro affari. In questo caso libertà fa rima con coraggio, ma più ancora con servizio. Al bene e alla società.
Ma anche nei media può accadere che la libertà si vesta di toni ambigui, servendosi dei fatti per dire totalmente altro da ciò che i fatti dicono. Nei giorni scorsi, un quotidiano nazionale ha sparato in prima pagina, con tanto di foto su quattro colonne: Il generale Figliuolo va al buffet proibito – Lui può, noi no. Ora la notizia si presta a due interpretazioni, senza che Figliuolo abbia comunque bisogno della nostra difesa. La prima riguarda i fatti.
Ho visto più volte il generale durante queste visite nelle varie regioni italiane. Intorno a lui c’è sempre uno stuolo di persone. Guardie del corpo (chissà perché a far del bene c’è sempre qualcuno disposto a farti fuori!), rappresentanza delle istituzioni, operatori dell’informazione. Nella foto pubblicata il generale, indicato da un cerchio rosso, non mangia, non beve e tanto meno crea assembramento. E allora? Allora si fa largo un dubbio.
Quello di un’informazione che si mette a servizio di una gazzarra dal fiato corto, fatta di polvere di… stelle (cadenti), minoranza malcontenta di partiti in disfacimento. Quella che si rifugia nell’oltraggio e nella menzogna dell’antica arte della disinformazione, come abbiamo già visto in tante scene del passato. Che sia questo il mood (l’umore) dell’anno che verrà? Speriamo che gli uomini e le donne di buona volontà abbiano la meglio. Per il bene del Paese.