Perseverare nel dialogo
Intervista a Brunetto Salvarani, presidente della Fondazione Pietro Lombardini per gli studi ebraico-cristiani. Fondamentalismo e relativismo tradiscono l’identità delle fedi
a cura di Luigi Lamma
La Fondazione Pietro Lombardini per gli studi ebraico-cristiani, sorta nel 2016 per raccogliere l’opera del sacerdote reggiano, propone per il 29 maggio, la quinta lettura annuale dedicata al tema della non violenza nel cristianesimo. Di questo evento e dei preoccupanti sviluppi della crisi tra arabi e israeliani riacutizzata nelle ultime settimane parliamo con il presidente della Fondazione Pietro Lombardini, il teologo e docente Brunetto Salvarani.
Proprio in questi giorni è riesploso il conflitto tra israeliani e palestinesi… il vostro convegno dove si parla di “nonviolenza” come si colloca, utopia, sfida, percorso possibile?
In una conferenza del novembre 2004, nel quadro di una riflessione sul dialogo ebraico-cristiano, il cardinal Martini così spiegava il senso della scelta di risiedere, al declinare della sua vita, a Gerusalemme: “Là dove vi sono dei conflitti, come attualmente tra israeliani e palestinesi, bisogna stare in mezzo e operare perché cessino tutte le violenze e ciascuno impari a comprendere anche il dolore dell’altro. Per questo ho scelto di vivere gran parte del mio tempo a Gerusalemme e mi sono proposto come priorità la preghiera di intercessione (nel senso etimologico della parola: inter-cedere, camminare in mezzo, senza dare patenti di ragione o di torto a destra o a sinistra)”.
In questa chiave, la nonviolenza non solo è sempre possibile, ma è l’unica strada sensata, mentre le armi e la guerra sono da sempre il segno della sconfitta della politica, della diplomazia e dell’umanità in generale. Come cristiani, poi, memori della beatitudine della mitezza, dovremmo dire che non possiamo non dirci nonviolenti… In relazione al conflitto israelopalestinese, poi, più violenze si commettono e più diventa profondo l’oceano di odio che divide le due comunità; e più diventa difficile aprire la strada a un percorso di riconciliazione fra i due popoli. Il conflitto che da quasi un secolo dilania la cosiddetta Terrasanta è la prova più tangibile del fallimento di ogni politica che, confidando sulla superiorità delle armi, pretenda di imporre la pace senza costruire la giustizia. Perché non c’è pace senza giustizia, come sosteneva Giovanni Paolo II all’indomani dell’11 settembre, nella Giornata per la pace del 1° gennaio 2002… continua a leggere.