25 aprile, intervento di monsignor Manicardi
"Dentro la luce di chi sa donarsi": le riflessioni del Vicario generale della Diocesi nel corso della cerimonia ufficiale per il 76° anniversario della Liberazione organizzata dall’Amministrazione Comunale di Carpi
Domenica 25 aprile, nel corso della cerimonia ufficiale per il 76° anniversario della Liberazione organizzata dall’Amministrazione Comunale di Carpi, la Diocesi è stata rappresentata dal Vicario generale, monsignor Gildo Manicardi, che ha accompagnato i tre momenti della manifestazione con la preghiera e alcune brevi riflessioni che riportiamo di seguito.
Alla casa di Odoardo Focherini
Sono risuonate adesso, ancora una volta, le parole eterne di Gesù: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore”. Odoardo ha abitato molte dimore terrene. Questa di corso Alberto Pio, che è la casa della sua formazione, poi la casa della famiglia di Maria Marchesi a Mirandola, la sede di “Avvenire d’Italia” a Bologna, poi il carcere di San Giovanni sempre a Bologna, il campo di Fossoli, di Gries/Bolzano poi di Hersbruck… Infine noi lo sappiano oggi nella dimora del cielo, con il Signore e i suoi cari che lo hanno raggiunto, a cominciare dall’amatissima moglie Maria che ha vissuto con lui anche in questa casa carpigiana. Nella sua vita terrena, Odoardo non sapeva certo dove sarebbe passato e dove sarebbe andato a finire. Sapeva però di conoscere bene la via da percorrere. Era Gesù la via sicura che, passo dopo passo, lo conduceva alle dimore scelte per lui dal Padre. Davanti a questa casa Gesù ripete anche a noi: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Anche nelle incertezze del nostro cammino verso la fine pandemia, che speriamo con tutto il cuore, noi sappiamo ben poco. La stessa cosa vale dell’atteso dopo pandemia: anche di questo futuro conosciamo ben poco. Possiamo però conoscere la vera via. Chi si fida della “Via”, che è il Figlio di Dio e di Maria, anche se soffre incertezze, è sicuro di dove appoggiare i suoi passi, sa dove va ed è tirato fuori dall’incertezza e dallo scoramento.
Sulla lapide che ricorda l’incidente automobilistico del 25 aprile 2011
Siamo alla seconda tappa del nostro cammino. È una tappa più recente: quest’anno è il decennale dell’incidente che ha visto la morte di tre concittadini in questa piazza, proprio durante la festa del 25 aprile. Questa tappa ha un suo senso preciso. Ci ricorda che la vita nostra è segnata anche dal dolore casuale e inspiegato. Noi non vogliamo dimenticare chi per anni ha festeggiato, con la sua città, il 25 aprile. Qui ci sono oggi le mogli e i figli delle tre vittime di quell’assurdo e incolpevole incidente. L’appello che ci fa questa disgrazia è un invito serio ad essere forti. Anche la tragedia cieca ha bisogno della forza che la sappia portare senza autodistruggersi. In questo contesto, la memoria corre al ricordo della moglie e dei figli di Odoardo che vissero, senza di lui, per decenni nella casa che abbiamo appena lasciato. Ce ne viene il monito a essere forti. Come abbiamo visto in questi mesi di pandemia la virtù della fortezza non è solo un bene personale e privato, ma è una merce preziosa che gli altri possono sfruttare. Dove si è circondati dal coraggio e dalla forza, si è tutti più sicuri. Pensiamo cosa ha voluto dire, per tanti, incontrare un medico, un infermiere, un volontario, un amico coraggioso. Siamo riconoscenti che accanto alle sventure ci incoraggia la forza, spesso, di un vero fratello. Cerchiamo anche oggi di essere utilmente coraggiosi.
Davanti al monumento dei martiri del 16 agosto 1944
La morte di un giovane è sempre una sciagura senza spiegazione. La morte di 16 giovani trucidati per una vendetta insensata, perpetrata su innocenti, è un fatto ancor più sconvolgente e doloroso. La sacra scrittura ci ha suggerisce con grande speranza: questi trucidati di Piazza Martiri “agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. C’è addirittura la promessa che proprio loro “governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli”. Il grido di giustizia, urlato dalla loro morte, finirà per affermarsi nel mondo. È per questo che – 76 anni dopo – siamo qui a ricordare, a far vivere e molti a pregare. Ma c’è un’altra cosa preziosissima che fu presente anche in quel cupo 16 agosto 1944. In questa tragedia di violenza ci fu, infatti, anche un filo d’oro di dono di sé e di speranza. Tra i sedici caduti ce ne fu uno che era riuscito a nascondersi e non era stato rastrellato la sera del 15. Vedendo però catturato suo padre e suo fratello, che aveva ben sei figli, la mattina del 16 si presentò e verso sera cadde fucilato su questa piazza. Nel suo cuore c’era una scheggia di quel prezioso diamante, di quell’amore evangelico che stava vivendo in contemporanea, nel suo campo di concentramento Odoardo Focherini. Sì! La piazza di Carpi è davvero la piazza dei martiri. In essa ha vissuto Odoardo Focherini e anche nella rappresaglia del 16 agosto ci fu qualcuno che testimoniò il dono di sé. La capacità di soffrire per gli altri – come fece Gesù – è l’unica risposta autentica alla violenza e alla riduzione della cattiveria e della crudeltà che soffoca tanti cuori, forse anche oggi.